C’era
una volta
Un
pugno di fotografie color seppia, volti segnati da un destino,
quello dell’emigrazione, allo stesso tempo personale
e collettivo, vicende tristi, talvolta tragiche, tinte dalla
nostalgia dell’esilio e di ciò che non accadde,
un nome familiare che è anche un fruscio di vesti, Crespo,
che risuona
in queste pagine quadrate come ritratti fotografici stinti
dal tempo: impressioni che nascono dalla lettura dei versi
di Tortora che voli alta del venezuelano Luis
Alberto Crespo, nella mirabile traduzione di Andrea
Perciaccante (Napoli, d’if, 2007) insigniti del premio Miosotìs,
2006 (sezione latinoamericana) della casa editrice napoletana
d’if in collaborazione con l’Unione Latina
(Parigi).
Tempo imperfetto
Leggendo,
sembra davvero di sfogliare un album di vecchie foto, soffermandosi su visi e corpi fissati da una lunga,
paziente posa nello studio di un fotografo, attratti ora dall’imponenza
dei baffoni a manubrio di un bisnonno, ora dal muto richiamo
degli occhi cerchiati di nero di una lontana parente morta
zitella di cui si è perso il nome … Il brivido
di destini sconosciuti ma spesso infelici ritorna qui nelle
parole sospese sui silenzi del passato di Crespo, nelle sue
domande senza risposta.
La
magia dei ritratti in parole si compie grazie ad una lingua
ingannevolmente semplice, epigrammatica, dalle cadenze mitiche, ravvivata
dalla fierezza dei nomi lusitani e risonante della musica
esotica del tropico nei toponimi, Rio Tocuyo, Carora, Samaré…
Indubbiamente
un illustre precedente è l’Antologia
di Spoon River (e prima ancora l’Antologia Palatina): vi
si respira lo stesso clima umido, odoroso di fiori marci, ma
mentre Lee Masters guarda con un misto di malinconia e sarcarmo
alla follia delle ambizioni e dei desideri umani tutti irrimediabilmente
votati a finire in una buca oscura, qui Crespo interroga
rispettosamente i suoi parenti, quasi pervaso da una pietas virgiliana
(Perché non mi dicesti che avevi attraversato acque
spinose con tuo padre immobile e rigido sul suo cavallo?) traendo
dai visi e dalle storie che ha sentito narrare in famiglia
la vita di coloro che non ha conosciuto ma che tuttavia gli
appartengono.
Nei
versi torna spesso l’imperfetto, tempo della durata
senza fine, tempo del mito e della favola, che riporta
in vita gli avi in uno stato di sospensione dove avviene un
incontro impossibile con la propria storia, quella che forgia
prima ancora della nascita. Le immagini, una volta evocate,
restano nell’aria come fantasmi: le vecchie zitelle,
con la cenere nelle tasche, la bella e torva Carmen con il
viso reso più bianco dalla cipria, lo zio con un colpo
di pistola nella gamba…
Sono
fantasmi che non hanno connotati paurosi, anzi: la strada,
le mura della sua casa sono per Crespo il padre nel vestito
della festa che va a farsi registrare al comune per assumere
la cittadinanza, preparando quello che ora è suo figlio,
un venezuelano a tutti gli effetti e non più un
emigrato, uno sradicato che si è lasciato alla spalle
cultura ed identità: il padre immortalato nella foto è diventato
stanza dove il poeta resta a sua volta fermo per sempre nell’atto
di scrivere, egli stesso quasi impressionato sulla pellicola
a futura memoria.
Ritratti di parole
Queste parole, con tutta la loro potenza evocativa e la loro
latente malinconia, risuoneranno il giorno 9 novembre (ore
16.00) nella Sala di Lettura della Sezione Venezuelana,
che avrà l’onore di ospitare l’autore, Luis
Alberto Crespo (per la prima volta a Napoli per la premiazione
all’Istituto Cervantes), insieme ad una lettrice
d’eccezione, la raffinata poetessa-performer Giovanna
Marmo, per una suggestiva lettura bilingue accompagnata
dal commento di un critico sensibile ed attento alla poesia
contemporanea quale Giancarlo Alfano, con la gentile
partecipazione di Nietta Caridei, editrice della d’if,
che ringraziamo particolarmente per la collaborazione.
L’incontro con questo interessante scrittore venezuelano
ha per noi anche il senso di attraversare esperienze che, se non
abbiamo vissuto in prima persona, tuttavia appartengono all’inconscio
collettivo di un popolo di emigranti quali noi siamo (chi non
ha avuto un parente emigrato in America, che si tratti del
Nord o del Sud?). Potremo assaporare quella nostalgia che spesso
non sappiamo nominare, una nostalgia per un nessun dove che
esiste nella nostra fantasia e nei racconti familiari, un
impossibile desiderio di parlare con persone che non abbiamo
mai conosciuto ma il cui sangue ci scorre nelle vene.
Vi aspettiamo.
Lucia Marinelli
foto tratta da Uney
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