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presentazione del volume
L'archeologia magica di Maiuri
di
Giuseppe Maggi
(Ed. Bibliopolis)
Intervengono
Mauro Giancaspro
Nino Daniele
Pietro Giovanni Guzzo
Pasquale Esposito
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foto tratta dal sito AICC - Associazione Italiana di Cultura Classica
Nell'archeologia del Novecento Amedeo Maiuri rappresenta un caso singolare. Laureatosi a Roma in filologia bizantina, approda all'archeologia quasi per caso. Vive a Creta al fianco di un grande maestro di epigrafia e antichità greche, Federico Halbherr, che gli apre i vasti orizzonti dell'antica cultura mediterranea. Quando, conclusa la guerra italo-turca, a livello ministeriale si avvertì il bisogno di istituire a Rodi una Missione archeologica con competenza sulle isole del Dodecaneso diventate italiane, Halbherr segnalò il nome di Maiuri. Operò quindi nell'area egea compiendovi interessanti scoperte, stroncando il traffico clandestino di oggetti archeologici, istituendo a Rodi un Museo ricco di oggetti non riguardanti solo l'archeologia.
Quando nel 1924 il fascismo esautorò al vertice della Soprintendenza di Napoli Vittorio Spinazzola, liberale legato a Nitti, Maiuri, che non appariva politicamente compromesso, fu chiamato a sostituirlo. Cominciò così il suo impegno, durato quasi quaranta anni, alla direzione di un ufficio con un territorio che spaziava dal basso Lazio al Molise, a tutta la Campania, alla Basilicata. Con città antiche di straordinario fascino come Cuma, Pompei, Paestum, Velia, Ercolano. A parte il Museo di Napoli, fra i più importanti al mondo, allora enorme contenitore non solo di antichità.
Maiuri si caratterizza come archeologo che "vive" l'archeologia. Più che descrivere monumenti colloquia con gli antichi, entra nell'intimità delle loro case e della loro psicologia. A Pompei più che altrove trova un mondo che gli è subito congeniale: mercanti, magistrati, biscazzieri, prostitute, ladri, ambulanti, usurai, ricchi di nobiltà provinciale, affaristi di turno, speculatori di ogni tipo, donne imprenditrici. Di molti rievoca ritratti molto suggestivi, alcuni indimenticabili. Il suo approccio con l'antichità non esclude "spiriti magni" del passato: Livio, Petronio, Virgilio. Con loro il dialogo si arricchisce di straordinari apporti culturali.
Vive l'esperienza amara della guerra, con le bombe sganciate anche su Capri, Pompei. Dalle macerie della sua abitazione napoletana recupera con fatica libri, carte di lavori in corso. Ferito durante un bombardamento mentre in bicicletta percorreva da Pompei la strada per Napoli, vive nel Museo momenti angosciosi delle "Quattro Giornate".
Di Maiuri Maggi narra l'avventura culturale e umana dal punto di vista del protagonista, definendo "magica" la sua archeologia in quanto evocatrice di persone, psicologie, ambienti fascinosi. Ritiene in realtà il rifugio nell'archeologia di Maiuri come una sorta di transfert: appagamento di cocenti sofferenze cominciate nella prima infanzia particolarmente per il sofferto rapporto con la madre. Riferisce anche la straordinaria storia d'amore, mai narrata prima, di questo studioso in gioventù timido e schivo per Valentina Maffei, nipote di un intrigante nunzio apostolico. Quando tentano di sottrargli la fidanzata perché ritenuto non all'altezza della nobile famiglia Maffei, la insegue fino ad Amsterdam e Bruxelles. La riporta in Italia strappandola allo zio per non lasciarla mai più.
Al suo primo apparire questo saggio ebbe lusinghiere recensioni - tra le quali spiccano quelle di Prisco, Pomilio, Pallottino, Romanelli, Necco, Paliotti, Fratta -, risultando finalista al Viareggio e ottenendo il Premio nazionale "Adone Zoli".