Si
può condividere il tono lievemente compiaciuto usato da Romano
Costa nella sua breve recensione, apparsa su Alias, supplemento
settimanale de «il manifesto» del 1° ottobre 2005,
di questo opuscolo tradotto in italiano con il malizioso titolo Sulle
eccessive scollature delle donne, che bene rende l’originale De
l’abus des nudités de gorge, un trattatello in forma
di aforismi pubblicato anonimo in Francia nel 1675, ma unanimemente
attribuito all’abate Jacques Boileau. Dalla terza di copertina
apprendiamo che Boileau, nato nel 1634, fu per venticinque
anni il gran vicario della diocesi di Sens, nonché uno spirito
caustico, noto inoltre più per il suo gusto «per la
buona compagnia» che per «l’ortodossia delle sue
opere teologiche»: insomma, un osservatore dei costumi, non
solo delle donne, da un punto di vista privilegiato che, nel mentre
lo metteva (forse) a riparo da quelle tentazioni in cui continuano
ad inciampare gli uomini, gli consentì di mantenere, nei confronti
della questione che avrebbe poi trattato in questo libello, un atteggiamento
distaccato e coerente, dunque simpaticamente condivisibile.
Se
siano le donne troppo provocanti, o invece gli uomini facilmente
inclini alla tentazione: non solo di questo si tratta, ché la
questione viene da Boileau sviluppata in maniera dotta, s’intende,
e molto seriamente, e questo lo fa apprezzare a noi che crediamo
che le donne abbiano il diritto di esibire ciò che vogliono
e gli uomini il dovere di non cedere ad alcuna facile tentazione.
Se è una
questione oggi attuale, se abbia rilevanza nelle aule dei tribunali
o presso sociologi e psicanalisti, francamente non lo sappiamo; ma è certo
che ancora fino al XVII secolo, quando scrive Boileau, era molto “sentita”,
perché continuava ad aver corso nella sfera generale dell’etica,
tanto da impegnare le energie intellettuali soprattutto degli autori
classici della cristianità. È quanto emerge dalla bella
introduzione di Riccardo Campi, che fa un piccolo capolavoro di sintesi
della letteratura sull’argomento, spaziando con perfetta padronanza
da Tertulliano a Molière, da Sant’Agostino a Kant.
L’opuscolo è diviso
in due parti, Che la nudità del petto e delle spalle è riprovevole
e nociva e Sulle inutili scuse delle donne che stanno con
il petto e le spalle nude; specie in questa seconda parte
sembra prevalere un bonario atteggiamento da paterno rimprovero,
che finisce per svelare la vera idea dell’abate Boileau rispetto
alla questione che pure finora egli ha trattato come si conviene
ad uno degli archetipi fondamentali del vivere civile. Così,
ciò che Boileau proprio non fa è fingere un’indifferenza
altrimenti ipocrita nei confronti del seno nudo, oggetto di scandalo:
Boileau sembra cioè in grado di percepire quello che Riccardo
Campi definisce il «pensiero dominante», ovvero «un’intuizione
maliziosa che resta non detta, e forse indicibile», sia da
parte delle donne che ostentano nudità di braccia, spalle
e seno forti dell’assunto secondo cui «la nudità del
corpo umano sarebbe pura e innocente perché ‘naturale’»,
sia da parte degli uomini che fingono imbarazzo esortando le donne
a coprirsi.
«Gli
uomini sanno quanto sia pericoloso guardare un bel seno – scrive
Boileau - le donne vanitose sanno quanto sia per loro vantaggioso
mostrarlo; gli uomini dicono e ripetono alle fanciulle e alle donne
quanto siano rimasti turbati alla vista del loro petto e della loro
figura; le donne e le fanciulle conoscono il pernicioso effetto prodotto
nello spirito degli uomini dalla bellezza della loro figura e del
loro petto …» (II.17). Alla fine della prima parte Boileau
ha addirittura lanciato un anatema: «Ecco quale sarà l’effetto
della nudità che ostentate, oh donne di mondo! Ecco ciò che
questa preannuncia per voi. Ora essa vi rende criminali, un giorno
vi renderà infelici; ora vi procura amanti, un giorno vi procurerà nemici;
e proprio coloro che vi vezzeggiano e vi lodano, vi rinfacceranno
con ingiurie e bestemmie di essere state la causa della loro dannazione;
diventeranno i vostri accusatori e i vostri giustizieri, e forse,
per colmo della sventura, quelle braccia, quelle spalle, quel petto
che voi e loro idolatrate, diventeranno gli strumenti del vostro
supplizio e saranno eterno oggetto della vostra ira e della vostra
disperazione» (I.43). A giudicare da ciò che si può innocentemente
osservare per le strade delle nostre città soprattutto nella
sempre più breve stagione estiva, questo funesto vaticinio
dell’abate Boileau non ha avuto seguito. Per fortuna, verrebbe
da aggiungere. In ogni caso, il lettore non si lasci intimorire dal
tono a tratti forte usato da Boileau, ché il libro si rivela
alla fine una gustosa lettura e l’introduzione non lo è di
meno. Sorvoliamo qui sulle numerose citazioni dalle opere di Terenzio,
Tertulliano, San Cipriano, J. J. Rousseau, Fenelon, Sant’Agostino,
Platone, Hegel, Kant ed altri che Campi utilizza a corredo del suo
breve ma denso saggio e che puntualmente specifica nelle note all’introduzione.
In chiusura, chiediamo scusa se siamo caduti nella trappola di una
recensione pretenziosa ad un libro che non lo è affatto, e
volendo invece recuperare un tono se non proprio leggero perlomeno
lieve, possiamo chiudere dicendo che forse la questione può essere
ricondotta al buon senso da una parte e alle abilità di osservazione
con l’occhio del perfetto gentiluomo dall’altra.
Copertina del volume: Jean-Auguste-Dominique-Ingres, Madame
Moitessier, 1851 (Washington,
National Gallery)
Illustrazione: incisione di Giovanni Giacomo De Rossi, Dama in
veste di estate,
1688-9