Ernesto
De Martino
Sud e magia. Introduzione di Umberto Galimberti
Milano, Feltrinelli, 2004
Volti
induriti e bruciati dal sole, figure di uomini e donne posseduti
da forze occulte al pari di statue sacre, luoghi di culto, “abitini” e
ex-voto raccolti nell’inserto fotografico del volume
restituiscono corpo alle centinaia di contadini lucani avvicinati
da De Martino nel corso delle indagini sul campo condotte in
Basilicata sul finire degli anni ’50. Dopo un quarto
di secolo, Umberto Galimberti ne sottolinea l’attualità nella
densa e incisiva introduzione che apre l’edizione apparsa
nel 2001 nei saggi della collana Universale Economica Feltrinelli,
ora alla quarta ristampa.
Pubblicata
nel 1959 come seconda parte della trilogia dedicata alla
descrizione dei riti magico-religiosi nelle regioni
meridionali – Morte
e pianto rituale nel mondo antico apparso un anno prima
e La
terra del rimorso del 1961 – l’opera
propone un’interpretazione della sfera magica che, superando
i confini dell’indagine territoriale, esamina le reazioni
degli individui di fronte al negativo che irrompe nella
storia. La dimensione magica, come del resto la mitologia e
la religione, offrono agli uomini un rifugio sicuro ponendosi,
come ordine superiore e metastorico, al riparo dai pericoli
prodotti dal divenire storico.
Secondo
Galimberti nell’interpretazione demartiniana la protezione
magica assolve ad una duplice funzione: da un lato garantisce
un orizzonte rappresentativo stabile capace di assorbire la
negatività del
negativo e dall’altro relativizza il processo di destorificazione
del divenire. In tal modo si delinea un «quadro
mitico di forze magiche, di fascinazioni e possessioni, di
fatture e di esorcismi, che istituzionalizza la figura di operatori
magici specializzati» (p. 96). La magia, il mito, come
exemplum risolutore dell’accadere, la religione, intesa
nella sua ritualità come processo iterativo, ed infine
la ragione stessa divengono così luogo privilegiato
di certezze prodotte dal consenso fornito loro da comunità storicamente
determinate.
Forte
della matrice storicistica coltivata alla scuola di Omodeo
e di Croce, De Martino riesce a formulare una risposta sulla
presenza del magico nelle società contemporanee di gran
lunga più completa
di quelle elaborate da Levy-Bruhl e Mauss in nome di un’apparente
astoricità del sistema. Il nesso profondo fra magia,
storia e metastoria lo induce, infatti, a ritenere ineliminabile
tale presenza dalla dimensione esistenziale degli individui.
Di
basso profilo è la
dichiarazione di intenti con cui De Martino presenta
gli obiettivi della sua indagine: definire il
nesso magia-razionalità così come
opera nella vita culturale meridionale, dove "meridionale"
non si riferisce solo all’accezione geografica,
ma comprende anche la sfera politica e sociale delimitata,
secondo una nota espressione dell’autore, «fra
l’acqua benedetta
e l’acqua salata, fra lo Stato della Chiesa e
il mare» (p.
8). In realtà nella parte iniziale del
volume sono descritte le pratiche magiche ancora vive
in Basilicata per decodificarne la struttura e individuarne
la funzione psicologica che ne giustifica la persistenza.
In primo luogo la fascinazione, termine che indica
la condizione psichica di impedimento o inibizione
in cui cade una persona e, al tempo stesso, uno stato
di dominazione, la sensazione di essere-agito-da una
forza in grado di annullare le facoltà di scelta
del soggetto. Se l’azione è compiuta da
una figura umana la fascinazione prende la forma del
malocchio, suscitato dal potere dello sguardo invidioso,
che da influenze più o
meno involontarie giunge fino alla fattura «deliberatamente
ordita con un cerimoniale definito, e che può essere – ed è allora
particolarmente temibile – fattura a morte» (p.
15).
La
galleria di esempi che le indagini propongono è quanto
mai varia: dalla nascita alla morte ogni fase della
vita è scandita da tappe
ben precise. Filtri d’amore, riti legati alla
celebrazione del matrimonio e alla sua consumazione
si alternano agli scongiuri e alle pozioni utilizzate
per allontanare malesseri e malattie e per propiziare
gravidanze, allattamenti ed una sana crescita dei bambini.
Un regime arcaico di esistenza spiega il sopravvivere
di tali usanze nelle terre lucane, appena lambite dall’incipiente
boom economico alla fine degli anni ’50, e nelle
quali un ruolo fondamentale è esercitato dal
rapporto con la vita religiosa tradizionale e con le
forme devozionali intermedie che da tale rapporto scaturiscono. «Così – osserva
De Martino – dall’esorcismo extracanonico
di stregoni e fattucchiere si passa agli esorcismi
del messale, del pontificale, del rituale romano»,
in un susseguirsi di benedizioni dell’acqua,
del sale, del vino, dell’olio, dell’oro,
dell’incenso e della mirra fino al rito noto
come il de
exorcizandis obsessis a daemonio (p. 120).
La
ricerca delle radici storiche di questi fenomeni spinge
l’autore
nella seconda parte del volume a risalire alle condizioni
sociali e culturali che hanno prodotto una simile storia
religiosa nell’Italia
meridionale e a individuare l’influenza che dal
Rinascimento all’Illuminismo i principali
intellettuali hanno esercitato. Dopo aver
richiamato alcune celebri pagine dedicate da Campanella
alla magia cerimoniale e demonologica, De Martino si
spinge a cogliere con tocco leggero ma incisivo i caratteri
dell’eroe byroniano, considerato per il suo “satanismo” fra
i primi esempi di sensiblerie romantica a cui
si deve il processo di umanizzazione e laicizzazione
che inserisce il fascino nella cerchia delle passioni
umane.
Oggetto
di particolare attenzione è la trasformazione avvenuta
a Napoli nel corso del XVIII secolo del fenomeno della
fascinazione in quello di portata ben più ampia della
jettatura, che avrebbe varcato i confini del regno per raggiungere
in breve tempo una sorprendente notorietà. Sul finire
del ‘700,
nella città che aveva appena accolto le teorie
di Giannone, Vico, Genovesi e Filangieri, un esponente
minore della classe forense, Nicola Valletta, diede
alle stampe la Cicalata sul fascino, volgarmente
detto jettatura, opera destinata a grande fortuna.
Riesumata con tono lieve da Croce nel secondo dopoguerra,
l’opera
viene letta da De Martino in base a parametri rigorosamente
antropologici che, al di là della mera finzione
letteraria, restituiscono profondo spessore culturale
all’operazione compiuta dall’autore
nell’ambito della storia del costume e della
mentalità meridionale.
Il radicarsi del fenomeno della jettatura in alcuni
ambienti illuministici napoletani costituisce, all’interno
del rapporto fra magia e razionalità, un’ulteriore
conferma dei compromessi pratici a cui finì per
sottostare la borghesia della capitale, vittima delle
arretrate condizioni economiche in cui si trovava ad
operare.
Non
a caso, la lucida analisi svolta da De Martino attraverso
pagine più o
meno note della storia passata e presente accomunate
da situazioni di passività dell’individuo (l’essere-agito-da)
si conclude con il richiamo ad una nota pagina della Storia
come pensiero e come azione in cui Croce celebra
l’ethos
dell’opera umana come segno distintivo del vivere
civile, rievocando la celebre espressione goethiana «Viva
chi vita crea!». E' questa per De Martino la sola
via che può portare al riscatto delle
genti meridionali.
Illustrazioni:
1) La copertina del volume
2) Ernesto De Martino. Fonte http://www.lawrence.edu/dept/anthropology/ernesto.htm
3) Confessione pubblica dei peccati: festa della Madonna del Belvedere,
a Oppido Lucano
4) Nella cappella di S. Paolo, a Galatina, una "tarantolata" saltella
da qualche ora sulla cornice dell'altare