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Percorsi bibliografici | Un libro al mese
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Percorsi bibliografici

Walt Disney / Sergej M. Ejzenstejn
di Gennaro Alifuoco

Sergej M. Ejzenstejn
Walt Disney
A cura di Sergio Pomati. Traduzione di Monica Martignoni
Milano, SE, 2004
(Testi e documenti, 138)

S. M. Ejzenstejn, Walt Disney. Milano, SE, 2004 (copertina)«A volte ho paura a guardare le sue opere. Paura di quella loro perfezione assoluta. Sembra che quest’uomo non conosca solo la magia di ogni mezzo tecnico, ma sappia anche agire sulle corde più segrete dei pensieri, delle immagini mentali e dei sentimenti umani. Così dovevano agire le prediche di san Francesco d’Assisi; così ci incantano i dipinti del Beato Angelico. Egli crea in una zona dell’ intimo più profondo e primitivo. Là dove tutti siamo figli della natura. Crea a livello di una rappresentazione dell’uomo non ancora incatenato dalla logica, dalla ragione, dall’esperienza. È così che le farfalle creano il loro volo, che i fiori crescono, che i ruscelli si stupiscono essi stessi del loro corso. Così ci affascina Andersen, e Alice nel suo paese delle meraviglie. Così scriveva Hoffmann nei momenti di lucidità. Tale è la corrente elettrica di due immagini che si compenetrano»: una descrizione appassionata, che esalta la figura e il lavoro del grande creatore e produttore di film di animazione Walt Disney. Scoprire l’autore di queste parole può forse destare qualche sorpresa: è Sergej M. Ejzenstejn, che nell’immaginario comune è legato a capolavori assoluti ma austeri e intimorenti come La corazzata Potemkin, Sciopero, Ottobre.
I due si erano conosciuti in occasione del travagliato soggiorno americano del regista e teorico sovietico. Ingaggiato dalla Paramount, Ejzenstejn era sbarcato a New York nel maggio del 1930. Dopo l’entusiasmo iniziale per l’America dei grattacieli, della modernità, dei grandi studios hollywoodiani, dopo essere stato al centro dell’interesse in serate mondane, interviste, conferenze, dopo aver fatto conoscenza di molti protagonisti dello showbiz (compreso Rin Tin Tin, incontrato in un ristorante di Boston), emerge ben presto il senso di insofferenza e incomprensione con il sistema americano, che porterà in ottobre allo scioglimento del contratto con la Paramount e una violenta campagna reazionaria contro l’”assassino e brigante bolscevico”. 
L’incontro con Disney avvenne nell’estate del ’30, nel Topolino saluta Ejzenstejnsuo “minuscolo studio ... - commenta Ejsenstein -  talmente lontano in quegli anni dal centro città hollywoodiano, dalla sua animazione e dalle sue complicazioni! La modestia della sistemazione ci stupisce, se confrontata alla portata colossale della produzione”. Quella visita fu sempre ricordata come uno dei pochi momenti veramente piacevoli e professionalmente entusiasmanti della sua vicenda americana. Un decennio dopo Ejzenstejn scrisse sul cartoonist americano un lungo e articolato saggio, che avrebbe dovuto far parte di un libro, Metodo, dedicato ai modi di produzione e di percezione delle forme artistiche, con una sezione sul cinema in cui era messa a fuoco l’opera, oltre che di Disney, di Griffith e di Chaplin. Il volume non fu mai completato, e ne sono stati pubblicati solo dei frammenti. Tra questi il testo su Disney che la casa editrice SE ha dato alle stampe nella prima traduzione italiana (Sergej M. Eizenstein, Walt Disney, a cura di Sergio Pomati, traduzione di Monica Martignoni. Milano, SE, 2004).
La distanza tra il cinema nato dalla rivoluzione sovietica, che tentava di coniugare le ragioni della ricerca espressiva con gli imperativi dell’impegno politico, e quello statunitense, che in quegli stessi anni stava edificando il proprio impero, sembra - ed in effetti, lo è - siderale. Ma è una distanza che non impediva scambi di conoscenze e apprezzamenti per esperienze così lontane: del resto anche Disney non nascondeva la propria stima per l’opera del cineasta sovietico.
Ejzenstein e DisneyCiò che accomuna Eisenstein a Disney - sia pure partendo da presupposti, di forma, di contenuti, di idee, del tutto antitetici - è in fondo la concezione costruttivista del linguaggio cinematografico. Il primo avrebbe portato ai massimi livelli di consapevolezza il metodo formale del montaggio - a cui si uniforma il cinema sovietico d’avanguardia di quegli anni - inteso come la sintassi che struttura dialetticamente  gli elementi della composizione filmica. Una sintassi che si piega non tanto e non solo alle ragioni della diegesi narrativa, quanto piuttosto all’alternarsi o al giustapporsi di eventi, stati interiori, concetti (ma anche elementi grafici e compositivi) che consentono di dilatare o di restringere il tempo dell’azione, di segmentarlo o di estenderlo, di moltiplicare i punti di vista, di ricorrere agli inventari espressivi della retorica per rendere allo stesso tempo più chiaro e più complesso il racconto filmico. Anche per Disney e per i creatori del cinema d’animazione il film nasce da una riflessione profonda sul linguaggio delle immagini in movimento. Ma per loro il compito - pur se assai gravoso dal punto di vista del lavoro materiale necessario -  è ovviamente più semplice: scartando a piè pari l’ipoteca del reale fotografico il linguaggio dell’animazione diventa virtualmente senza limiti, capace di creare meravigliosi ordigni spettacolari senza gli austeri richiami ai doveri del senso - nemmeno quello logico - rispondendo solo alla necessità di creazione e ricreazione di forme, suoni, parole che trovano in se stesse le proprie ragioni estetiche.
“Il cinema è anche l’arte di immaginare i movimenti delle cose nello spazio, rispondendo agli imperativi della scienza; è l’incarnazione del sogno dell’inventore che sia anche scienziato, artista, ingegnere o carpentiere: esso permette di realizzare ... ciò che è irrealizzabile nella vita”: se si sfronda questa dichiarazione di Dziga Vertov dalle pretese di costruire una nuova rivoluzionaria oggettività imperniata sul rapporto tra arte e scienza, o, meglio, se questa  consapevolezza teorica si innesta nell’orizzonte pragmatico, ma non per questo meno rigoroso,  dell’industria americana dello spettacolo, ecco che l’arte dell’animazione diventa uno dei modi in cui coniugare un’idea del cinema che, in maniera radicale, esibisce i propri meccanismi costruttivi rendendoli allo stesso tempo tematici e trasparenti.
E chissà cosa sarebbe successo - fantastica il curatore del volume Sergio Pomati, che firma anche un saggio in appendice su Disney - se Ejzenstejn avesse scelto di abbandonare la Russia, come Stalin temeva, e si fosse messo in società con il papà di Topolino...

Gennaro Alifuoco

 Illustrazioni tratte dal volume:
1) La copertina
2) Topolino saluta Ejzenstejn
3) Ejzenstein e Disney


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© Biblioteca Nazionale di Napoli (giugno 2004)
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