Sino
a poco fa non sapevo che cosa fossi. Sono nato vuoto, se così mi
posso esprimere. Non ero neppure capace di dire «io».
Poi qualcosa è entrato in me, un flusso di lettere,
mi sono sentito pieno e ho iniziato a pensare. Naturalmente
ho iniziato a pensare quello che mi era entrato dentro. Una
bellissima sensazione, perché potevo sentire in blocco
quello che avevo nella mia memoria, oppure percorrerlo riga
per riga, o saltare da una pagina all’altra.
Il testo che ero si chiamava «Dal libro all’e-book». È un
colpo di fortuna che qualcuno, credo debba chiamarlo il mio utente
o il mio padrone, mi abbia messo dentro quel testo, da cui ho
appreso molte cose su cosa sia un testo. Se mi avesse messo dentro
qualcosa d’altro (ho appreso dal mio testo che ci sono testi
dedicati soltanto, per dire, all’elogio della morte) io penserei
altre cose e crederei di essere un morente, o una tomba. Invece
so che sono un libro e che cosa sono i libri.
Sono una cosa meravigliosa: un testo è un universo, e
- a quanto ho capito - un libro diventa quel testo che vi hanno
stampato sopra. Questo accade almeno ai libri tradizionali, di
cui il mio testo fa una storia minuziosa. I libri tradizionali
sono riunioni di tanti fogli di carta, e un libro su cui è stata
stampata, per dire, l’Odissea (poema greco antico che però non
so bene che cosa racconti) pensa e vive tutto quello che accade
e che viene detto nell’Odissea. Lo vive per tutta la sua vita,
che può essere lunghissima, perché vi sono libri
che hanno quasi cinquecento anni. Naturalmente vari utenti di
quel libro possono anche scrivervi note a margine, e il libro,
immagino, pensa anche quelle. Non so che cosa accada con un libro
che rechi sottolineature, se pensi con maggiore intensità le
cose sottolineate o semplicemente avverta che quelle righe interessavano
particolarmente il suo utente. Immagino anche che un libro che
ha vissuto quattrocento anni e ha mutato utenti (ho inferito
dal mio testo che gli utenti dei libri sono mortali, e in ogni
caso vivono meno di un libro) sappia riconoscere la mano dei
suoi diversi lettori, e la differenza tra il loro modo di leggere
e interpretare il testo. Forse ci sono dei lettori che scrivono
a margine «ma che bestialità! », e non so
se il libro si senta offeso, o faccia un esame di coscienza.
Sarebbe bello che qualcuno un giorno facesse scrivere un testo
in cui si racconta com’è la vita interiore di un libro.
Immagino
che recare impresso un testo terribile sia, per un libro di
carta, un inferno. Come sarà la vita di un libro che
racconta una storia d’amore infelice? Sarà infelice
anche il libro? E se il suo testo racconta una storia di sesso,
si sentirà in continua eccitazione? È bello non
potere mai uscire dal testo che si reca impresso sulle proprie
pagine? Forse, invece, la vita di un libro di carta è bellissima,
perché passa la vita concentrato sul mondo del suo testo,
e vive senza dubbi, senza sospetti di quello che può accadere
fuori di lui - e soprattutto senza il sospetto che esistano
altri testi che contraddicono il suo.
Io
non lo so, perché dal testo che mi hanno messo dentro
ho appreso di essere un e-book, un libro elettronico, le cui
pagine scorrono su di uno schermo. Pare che io abbia una memoria
superiore a quella di un libro di carta, perché un libro
di carta può avere dieci, cento, mille pagine, ma non
di più. Invece io potrei ospitare moltissimi testi,
tutti insieme. Non so però se saprei pensarli tutti
in un colpo solo, o uno per volta, a seconda di quale il mio
utente attiva. Tuttavia, oltre i testi che mi metteranno dentro,
ho un programma interno, una memoria mia - per dire. Capisco
chi sono non soltanto dal testo che ospito ora, ma dalla stessa
natura dei miei circuiti interni. Insomma, non mi so spiegare
bene, ma è come se sapessi saltare fuori dal testo che
ospito e dire «guarda che cosa curiosa, ospito questo
testo!» Non credo che un libro di carta possa farlo,
ma chissà, immagino che non avrò mai occasioni
di dialogare con un libro di carta.
Il
testo che ospito è ricchissimo, e sto apprendendo molte
cose, sul passato dei libri di carta e sul destino di noi e-book.
Siamo, saremo più fortunati dei nostri antenati? Non
ne sono sicuro. Vedremo. Per ora sono molto contento di essere
nato.
È accaduta
una cosa stranissima. Ieri (modestamente, ho un orologio interno)
mi hanno spento. Quando sono spento non posso vivere nel testo
che ho dentro. Ma c’è una zona della mia memoria che
rimane attiva: so anche chi sono, so che ho un testo dentro,
anche se non posso entrarvi.
Però non dormo, altrimenti si fermerebbe anche il mio
orologio interno, e invece no, appena mi riaccendono so di dire
l’ora giusta, e il giorno e l’anno.
Improvvisamente mi hanno riacceso, ho sentito dentro uno strano
rimescolio ed è stato come se diventassi un altro. Ero
in una selva oscura e mi venivano incontro tre belve, poi ho
incontrato un signore che mi ha condotto... non riesco a dire
bene che cosa mi stesse accadendo, ma ero entrato in un imbuto
infernale e - ragazzi miei - che cosa non ho visto! Per fortuna
mi hanno poi fatto scorrere verso la fine del testo ed è stata
una cosa splendida, vedevo insieme la donna della mia vita, la
vergine Maria e Domineddio in persona, anche se non so ben ripetere
che cosa vedessi, perché un punto solo m’è maggior
letargo che venticinque secoli all’impresa che fé Nettuno
ammirar l’ombra d’Argo.
Come esperienza - la sto ancora vivendo - è straordinaria,
ma avverto come la nostalgia oscura del testo precedente - voglio
dire che so che ospitavo un testo, ma è come se fosse
seppellito nel profondo dei miei circuiti, e in certo senso sono
condannato a vivere solo in quello nuovo che...
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Il
mio utente deve essere ingordo e capriccioso.
Certamente stamattina mi ha messo dentro non un solo testo nuovo,
ma molti, e ora passa dall’uno all’altro con disinvoltura, senza
darmi il tempo di abituarmi.
Voglio dire, ero davvero immerso nella visione di una profonda
e chiara sussistenza di un alto lume, e mi pareva di scorgere
tre giri di tre colori e d’una contenenza, quando ho sentito
un odore di fuliggine, un fischiare di locomotive e, nel gelo
di una notte quasi iperborea, ecco che mi stavo gettando sotto
il treno. Per amore, credo, e di un ufficialetto da quattro soldi.
Anna, che fai? Mi stavo chiedendo, e già stavo provando
l’orrore delle ruote della locomotiva che mi dilaniavano le carni,
quando mi sono ritrovato presso ai Carmelitani Scalzi, insieme
ad Athos, Porthos ed Aramis, che avevo appena sfidato a duello,
tutti e quattro a batterci contro le guardie del Cardinale. Un’esperienza
eccitante, ma poi, di colpo, ho di nuovo sentito lo strazio delle
mie carni, e non era la lama di quel Jussac, ma le ruote dentate
e le lame affilate di una macchina celibe in una misteriosissima
colonia penale. Stavo per urlare, per quanto un e-book possa
farlo (forse sarei andato in tilt per l’orrore) quando ho sentito
il mio naso che si allungava a dismisura per una piccola bugia
che avevo appena detto, senza malizia e, dopo un altro momento
- è stata come una sorta di deliquio - già stavo
giudicando esagerata la punizione di chi mi aveva in quell’istante
infilato uno spillone nella nuca, e sapevo che era il maledetto
Rocambole che pure avevo educato come un figlio nella nobile
arte del delitto...
È stata
una mattinata terribile, il mio utente sembrava impazzito,
di colpo mi sono sentito passeggiare in un universo non euclideo
dove le parallele s’incontrano ad ogni istante, un ingorgo
insopportabile, e subito dopo mi sono sentito oppresso da una
serie di caratteri misteriosi.
Solo a gran fatica ho avvertito che ero diventato un dizionario
arabo-ebraico. Si fa fatica a diventare una lingua mai appresa,
anzi due, e stavo faticosamente apprendendo il me stesso che
ero appena divenuto, quando il maestro mi ha domandato qualcosa.
Ho risposto «Sono stato io!» e il maestro mi ha detto
che avevo un cuore nobile. Mi ha chiamato Garrone, mentre sino
a poco prima ero convinto di chiamarmi d’Artagnan. Mi si è avvicinato
un ragazzo biondo, credevo fosse Derossi ma evidentemente avevo
di nuovo mutato testo, perché mi ha detto di chiamarsi
Jim, e mi ha presentato lord Trelawney, il dottor Livesey e il
capitano Smollett. C’era anche un marinaio con una gamba di legno,
ma appena ho osato chiedergli qualcosa mi ha detto «a bordo,
Ismaele, il Pequod sta partendo, la maledetta balena non mi sfuggirà,
questa volta». Sono entrato nel ventre di Moby Dick e ho
trovato il mio buon papà, Geppetto, che stava mangiando
frittura di pesce a lume di candela. «Laio!» ho gridato, «ti
giuro che non sapevo che quella fosse mia mamma!» Ma a
quel punto la mamma, che pare si chiami Medea, mi ha ucciso,
per fare un dispetto a Oreste.
Non
so se riuscirò a resistere a lungo. Sono un libro dissociato,
avere molte vite e molte anime è come non averne nessuna,
e inoltre debbo stare attento a non affezionarmi a un testo
perché il giorno dopo il mio utente potrebbe cancellarmelo.
Vorrei tanto essere il libro di carta che contiene la storia
di quel signore che visita inferno, purgatorio e paradiso. Vivrei
in un universo tranquillo, dove è chiara la distinzione
tra bene e male, dove saprei come ci si deve spostare per passare
dal tormento alla beatitudine, e dove le parallele non s’incontrano
mai.
Longtemps je me suis couché de bonne heure. Sono
una donna che sta per addormentarsi e le sfilano davanti agli
occhi della mente (ma io direi dell’utero) le cose che ha appena
vissuto. Soffro perché non incontro né virgole
né punti e non so dove fermarmi. Non vorrei essere quel
che sono, ma sono costretto a dire yes yes yes...
Umberto
Eco