Giustizia
senza limiti / Serge Latouche
di Valerio
Cacace
Godere
le comodità del mondo,
essere famosi in guerra e, anzi, vivere nell’agio
senza grandi vizi, è un’inutile
UTOPIA nella nostra testa.
Frode, lusso e orgoglio devono vivere,
finché ne riceviamo i benefici:
la fame è una piaga spaventosa, senza dubbio,
ma chi digerisce e prospera senza di essa?
Mandeville , La favola delle api, Roma-Bari, Laterza 1994, p. 20
Gli
scandali della Enron negli USA e di Cirio e Parmalat in Italia, per
citare
soltanto alcuni esempi tra i più recenti, hanno
indotto molti ad interrogarsi sui fondamenti etici del sistema economico
imperante a livello mondiale. Gli stessi correttivi su cui si riponevano
tante speranze, come le società di certificazione bilanci, dopo il
coinvolgimento della Arthur Andersen, hanno mostrato l’inaffidabilità degli
istituti che dovrebbero provvedere alla tutela delle regole del gioco.
La sbornia senza limiti degli anni in cui il liberismo assoluto sembrava
essere l’unica strada percorribile, dotata di perfetti congegni di
autoregolamentazione, si sta forse dissolvendo?
Serge Latouche,
economista e sociologo, studioso delle società non industriali, denuncia
da tempo nelle sue opere – tra le altre L’occidentalizzazione del mondo. Saggio sul significato, la
portata e i limiti dell’uniformazione planetaria (1992), La
sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea (2000), Il
pianeta dei naufraghi. Saggio sul doposviluppo (1993) - le conseguenze
provocate su intere aree del pianeta sottosviluppate o devastate da
ricorrenti crisi economiche dalle prescrizioni economiche di organismi
come la Banca Mondiale o il WTO. I modelli di sviluppo imposti dall’alto,
nonostante gli sbandierati ottimismi, si sono rivelati solo un ulteriore
strumento di dominio e di ricatto. Intanto la forbice tra paesi ricchi
e paesi poveri si allarga in maniera crescente (nel solo Zambia il
tasso di mortalità infantile è aumentato del 54 per cento dagli inizi
degli anni ’90, come conseguenza dei drastici tagli di spesa nel settore
ospedaliero imposti da rigide compatibilità di bilancio). In questo
quadro, in cui il feticcio dello sviluppo a tutti i costi spinge a
sacrificare i destini del sud del mondo, Latouche, nel suo recente Giustizia
senza limiti. La sfida dell’etica in una economia mondializzata.
Torino, Bollati Boringhieri, 2003 – il titolo è un’evidente parafrasi
di Enduring justice, la crociata scatenata da Bush dopo l’11
settembre - prova a ritornare al nocciolo, alle radici della scienza
economica, a smascherarne la pretesa neutralità nel rappresentare diagnosi
e soluzioni. Nell’epoca dei fasti della borghesia ascendente, il diabolico
Bernard Mandeville, medico di origine olandese, invoca nella società inglese
del Settecento il superamento delle ipocrisie fondate sull’austerità o
sul pietismo e giustifica pratiche viziose e criminali quando sono
al servizio della ricerca del profitto. Adam Smith, considerato da
molti uno dei fondatori della scienza economica, non dice cose molto
diverse quando inneggia all’amore di sé che è assolutamente incolpevole
se l’individuo nella sfera pubblica si prende cura della propria felicità,
relegando i principi morali unicamente alla sfera privata. C’è un filo
rosso evidente che lega i sostenitori dell’ultraliberismo economico
e queste teorie, percepibile nell’assottigliarsi della linea di confine
tra economia “legale” ed economia “criminale”, “tra lobbying e
corruzione, tra il fiuto dell’abile speculatore e il delitto di insider”.
Il collegamento, così difficile a volte da cogliere tra le decisioni
impersonali degli organismi finanziari e le conseguenze provocate sulle
condizioni di vita di intere popolazioni, richiama la formulazione
applicata da Hannah Arendt al caso Eichmann: la “banalità del male”.
La banalità con la quale la “megamacchina globale della razionalità tecnoscientifica
ed economica trasforma gli uomini in ingranaggi per fabbricare ingranaggi
e produce funzionari inconsapevoli di imprese criminali”.
Riacquistare
e praticare il senso di giustizia diventa essenziale per sopravvivere,
e Latouche indica frammenti di realtà che
si oppongono alla dittatura dello sviluppo a tutti i costi: i SEL (Systèmes
d’échange local) - comunità costruite sullo scambio di beni e servizi
fuori mercato attraverso una moneta creata e valida al proprio interno
e calcolata a partire dal valore di un’ora di lavoro - l’evoluzione
da consumatore a consumattore mediante il consumo critico fondato
sulla tracciabilità dei prodotti, ovvero sulla possibilità di ricostruirne
il percorso, e in generale quei comportamenti che tendono a riproporre
valori espulsi dalla società mercantile nella sua fase attuale. Come
nel Pianeta dei naufraghi, Latouche recupera dai mercati
della società vernacolare africana, nella loro marginalità, nei loro
traffici alimentati da bisogni di sopravvivenza, schegge di socialità,
di rapporti umani andati perduti, fino al punto di considerare inferni
come le immense bidonvilles prive di qualsiasi servizio, “i
laboratori di una nuova socialità”, i luoghi dove si annida ancora
la produzione di senso, l’affermazione della ragionevolezza
contro la razionalità. Il rifiuto di assoggettarsi ai dogmi dello sviluppo,
della cupidigia, del possesso di beni inutili, gli appare non come
un residuo di un passato preindustriale, arcaico e in via di estinzione,
ma una delle premesse possibili per avviare un processo fondato sulla
“restaurazione delle persone e della vita intima nell’ambito di una
collettività plurale senza frontiere”.
Valerio
Cacace
Illustrazioni:
1) La copertina del libro di Serge Latouche
2) Immagine tratta dal sito http://www.concser.it/illu/illuglobal.htm