Chuck
Palahniuck
Cavie
(Titolo originale: Haunted. Traduzione di Matteo Colombo e
Giuseppe Iacobaci)
Milano, Mondadori, 2005
(Strade blu)
ISBN: 88-04-54438-4
Cavie, ultima
fatica di Chuck Palahniuck, è sicuramente uno dei libri più forti degli
ultimi anni. Lo scrittore americano, divenuto autore di culto specie
dopo il successo raggiunto con Fight Club, ci regala infatti
il meglio della sua scrittura soffocante e claustrofobica.
Attraverso
23 storie ricche di humour misto a puro orrore, vero Decameron
post moderno, specchio della nostra era orwelliana, siamo condotti
ad una discesa agli inferi, attraverso eccessi così spropositati
da sembrare alla fine veri e possibili. Percorriamo, al ritmo incalzante
dei racconti, intervallati da lunghe poesie, interamente e senza
sconti, tutti i gradini dell’aberrazione
umana.
Tutto
questo ha un solo scopo, la visibilità, il successo. In un
mondo che ha delegato tutto
alla mera rappresentazione di eidolon, ove tutto è possibile,
la dignità e l’umanità sono sacrificate sull’altare
della gloria e della celebrità.
Ci
guida in questo allucinato e lisergico viaggio un io narrante che nei
versi della poesia che apre il volume, Cavie, ci fornisce le
coordinate essenziali per muoverci nella trama dei racconti. “Doveva
essere un ritiro per scrittori. Un posto sicuro dove avremmo potuto
lavorare. E noi dovevamo scrivere poesie. Belle poesie”.
I
protagonisti assumono nomi fittizi “I nomi che ci siamo
guadagnati, basati sui nostri racconti. I nomi che ci siamo dati
a vicenda, basati sulle nostre vite invece che sulle nostre famiglie … nomi
basati sui nostri peccati, invece che sulle nostre professioni … basati
sulle nostre colpe e sui nostri delitti. Il contrario dei nomi da
supereroi”.
Gli
aspiranti scrittori sono condotti in un vecchio teatro abbandonato
dall’ideatore
del ritiro, “un uomo vecchio, vecchissimo, un moribondo di
nome Whittier”, che si scoprirà poi essere un adolescente
affetto da senescenza precoce; per lui “Non aveva importanza
chi fossimo davvero … però questo all’inizio non
ce l’ha detto … eravamo animali da laboratorio. Un esperimento.
Ma noi questo non lo sapevamo. No, quello era solo un ritiro per scrittori,
finché non è stato troppo tardi perché non fossimo
altro che le sue vittime.” Quest’ultima affermazione
sarà poi smentita del tutto dallo svolgimento degli eventi e
soprattutto dal sorprendente finale.
Nel
vecchio teatro non manca nulla per assicurare agli ospiti una buona
permanenza. Cibo, elettricità, servizi igienici. Tutto all’inizio è funzionante
e disponibile, ma ben presto va tutto in malora ad opera degli
stessi protagonisti che all’insaputa l’uno dell’altro
sabotano tutto quanto è possibile sabotare per rendere l’avventura
sempre più estrema. Tutti adottano strategie spietate che serviranno
a renderli protagonisti quando qualcuno verrà a salvarli, quando
qualcuno trasmetterà la loro storia in televisione. Le narrazioni
si fanno sempre più esasperate e qui Palahniuck dà veramente
il meglio del suo stile inconfondibilmente dark e grottesco spingendosi
fino ai confini più arditi del pulp: depravazioni, mutilazioni,
bambole gonfiabili, cannibalismo. Una vera e propria riedizione in
termini minimalisti delle giornate di sodoma sadiane, densa di folgoranti
colpi di genio, che ci regalano momenti di straordinario godimento
letterario. Particolarmente riusciti sono a nostro parere i racconti: Budella,
esilarante cronaca delle avventure erotiche di un’adolescente; Ambizione,
uno sguardo spietato sul mondo dell’arte; lo stupendo Esodo disperato
e feroce ma potentemente intriso di grande forza morale; ed
in ultimo Obsoleto che chiude in maniera strepitosa la serie
dei racconti.
Avvincente
il finale che, come già detto, è sorprendente e spiazzante
per il lettore.
Cavie è sicuramente
una satira feroce sul mondo finto ed esasperato dei reality show ma è soprattutto
una raccolta di apologhi etici che getta una luce sinistra sulla
spasmodica caccia alla fama ed al culto dell’immagine che
dominano la società occidentale. Il rischio, concreto, che corre
questo libro, visto il proliferare di trasmissioni televisive di questo
tipo e degli eccessi che mostrano, è quello di trasformarsi
da parabola morale a mera fotografia della nostra folle quotidianità.