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Percorsi bibliografici | Libri e letture | Philip Roth, Everyman
Libri e letture
Percorsi bibliografici

Philip Roth

Everyman / Philip Roth
di
Luigi D'Amato


Everyman potrebbe essere inteso in italiano con il termine “chiunque” sottendendo un destino comune, una sorte analoga, e di fatti questo potente romanzo prende il titolo da un'anonima rappresentazione allegorica quattrocentesca, un classico della prima drammaturgia inglese, che ha per tema la chiamata di tutti i viventi alla morte, con la differenza che qui non vi è un Dio che giudica e l’unico giudizio che resta è quello degli uomini.

Ma quest'ultima fatica di Roth ci sembra, più che sulla morte, una riflessione sulla vita. Non è quindi un “memento mori” ma un'osservazione disincantata e lucida dell'esistenza fatta nel suo momento finale. Punto di vista privilegiato, poiché distante dai clamori, dagli errori, dalle passioni, dagli amori che costituiscono la trama della vita. E’ nel silenzio della morte che si ricompone il puzzle della vita del protagonista, il cui nome non ci viene rivelato ma è chiaramente un alter ego dello scrittore, dall'infanzia in un incantato New Jersey, luogo ove Roth è solito ambientare i suoi romanzi, al momento della fine. Il linguaggio è secco e preciso, adoperato come un bisturi, e non concede nulla a falsi sentimenti o moralismi, anche quando si tratta di descrivere le pulsioni sessuali o la fatale decadenza del corpo offeso da malanni, malattie ed operazioni chirurgiche. Il libro si apre con un funerale, quello del protagonista. Assistiamo quindi ad un vero e proprio ribaltamento di canone letterario, in quanto si seppellisce colui che per il resto del libro è l'io narrante, in terza persona,  e quindi vivente. Gli elogi funebri dei parenti, degli amici, dettati dall'emozione del momento e dalla nostalgia del distacco, distorcono l'essenza reale della vita di colui che è morto. Essenza che invece ci viene rappresentata attraverso il racconto del protagonista che misura la propria inadeguatezza, il proprio “mal de vivre”, di fronte alle cose della vita. Tre matrimoni falliti, due figli maschi pieni di rancore per l'abbandono subito. Una sola consolazione, dal punto di vista affettivo, la figlia Nancy, che, a causa delle cattive condizioni economiche e familiari, finisce col divenire ulteriore motivo di preoccupazione e di affanno. La progressiva perdita di salute fisica allontana da quella pienezza dell'essere che può permeare di senso positivo la visione della vita e lascia il posto ad un disincanto che mette in dubbio persino la propria umanità,  «Mio Dio - pensava - che uomo ero una volta! Che vita avevo intorno! Che forza avevo dentro! Nessuna alterità da avvertire! Una volta ero completo: ero un essere umano». C'è l'opportunità di modificare questa realtà? Riuscire a cambiarla? Anche in questo caso il giudizio è impietoso: «E' impossibile rifare la realtà – gli disse – devi prendere le cose come vengono. Tenere duro e prendere le cose come vengono». Resterebbero i rapporti umani, ma è proprio su questo fronte che si consuma anche l'ultima illusione, il fallimento di un'esistenza in cui l'inganno, la menzogna, portano alla disgregazione dei sentimenti e non resta che affrontare da soli la vecchiaia e la solitudine.

Non c'è per il protagonista possibilità di riscatto finale, come accade invece all'Ivan Illich di Tolstoj, attraverso la fede, da lui mai sentita e vissuta, piuttosto, come una delle eredità ricevute dai genitori, da quei genitori sepolti nel vecchio e cadente cimitero ebraico, meta del suo ultimo viaggio. La loro assenza nel momento in cui si avverte che la vita sta per finire genera un'acuta nostalgia: «Non era mai stato difficile capire i suoi genitori. Erano una madre ed un padre. Non avevano molti altri desideri. Ma lo spazio occupato dai loro corpi adesso era vuoto. La concretezza della loro vita non esisteva più». Ed è proprio la concretezza della vita, con il suo ciclo di operazioni materiali da compiere nel migliore dei modi, al centro del colloquio finale con lo sterratore del cimitero. L'enumerazione meticolosa delle operazioni occorrenti ad una buona sepoltura trasmettono serenità e sembrano spogliare la morte del suo senso di mistero.

Non è altro, in definitiva, che uno dei tanti fatti della vita, l'ultimo,  da affrontare e compiere nel migliore dei modi: dopo c'è il nulla.


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Philip Roth,Everyman (copertina)

Philip Roth
Everyman
Traduzione di Vincenzo Mantovani
Torino, Einaudi, 2007


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Fotografia tratta da Apri la pagina collegata Random House