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Percorsi bibliografici | Un libro al mese | Vassalli: Amore lontano
Un libro al mese
Percorsi bibliografici

Sebastiano Vassalli, Amore lontano, Einaudi 2005 (copertina)
Amore lontano / Sebastiano Vassalli
di Fabiana Cacciapuoti

Sebastiano Vassalli
Amore lontano

Torino, Einaudi, 2005

Sebastiano VassalliNon è un caso che l’immagine scelta per la copertina di questo libro sia una testa scolpita: una testa di donna, il capo leggermente inclinato, un nastro a fermare i capelli, lo sguardo perso lontano. Il “lontano” sembra essere infatti il luogo della poesia, e forse della vita colta nella sua essenza. Questa immagine, che poi si ripropone ad ogni capitolo del libro, in modo assolutamente significativo e simbolico, è quella di Saffo.
Saffo è la poesia: la sua testa, il suo sguardo ci invitano quindi a guardare anche noi, con l’autore, oltre una certa realtà, là dove prende corpo il mondo della parola.
Il libro, infatti, è aperto dall’inizio del Vangelo di Giovanni (I, I-5.): In principio era la parola / e la parola era presso Dio / e la parola era Dio”.
Vassalli segue quindi il mondo della parola, la sua vita legata a quella di uomini divenuti poeti per la forza di un demone interiore, per caso o per necessità.
Il romanzo della parola, come recita il sottotitolo del libro, segue allora un altro romanzo, quello delle vite dei suoi creatori: uno dopo l’altro ci vengono incontro da queste pagine Omero e Virgilio, Qohélet, Jaufré Rudel, François Villon, Giacomo Leopardi, Arthur Rimbaud. Le loro storie sono raccontate con tocco leggero, in una sintesi che non dimentica gli elementi essenziali alla definizione di un carattere, né trascura la citazione di alcuni versi che l’autore giudica adatti al suo narrare. Il racconto a tratti assume la forma di un saggio, ma scivola via lieve, lasciando comunque la traccia della sua essenza.
Il numero dei poeti scelti ci dice già del significato profondo che essi devono rivestire per l’autore: sono solo sette, ma ognuno di loro nasconde in sé la cifra dell’autenticità poetica. Nello stesso tempo, Vassalli sembra costruire la sua storia attraverso alcuni aspetti che ne rendono la particolarità.
Omero è il primo a venirci incontro forse perché, come diceva Leopardi, Omero è la poesia stessa. Egli è alle origini della parola e Vassalli ce lo dipinge come uno, nessuno e centomila: centomila perché la sua leggenda si unisce a quella dei cantori ciechi, dotati di straordinarie capacità inventive; nessuno, perché egli coincide con il primo personaggio della letteratura occidentale, Ulisse, che si definì, appunto, nessuno. L’Odisseo luminoso di cui parla Omero rende possibile il racconto di un mondo che prima era dominato dalle forze della natura, un mondo indicibile che solo il mito traduce in parola. Tuttavia, Omero è anche uno: un uomo reale, che ha le fattezze del busto in marmo del Museo Nazionale di Napoli, un uomo anziano, stanco di viaggiare e che deve la sua sopravvivenza ad un ragazzo di nome Lica, il suo accompagnatore, forse il suo amante: di Omero in quanto uomo, Vassalli, come farà per tutti gli altri poeti, immagina la morte. Né insolazione, né colpo al cuore, né un possibile naufragio, né alcuna malattia contagiosa saranno le cause della sua fine, ma il tradimento di Lica. Il poeta muore solo, abbandonato da colui di cui si fidava, ma circondato dalla schiera dei suoi personaggi, assistito da Orfeo e accolto da Calliope.
Se Omero è la parola, Qohélet è rappresentato come colui che non appartiene al suo tempo, perché osserva gli uomini da una distanza così grande che gli permette di capire come il male prevalga sul bene e l’ignoranza sulla sapienza. La sua conoscenza diventa quindi consapevolezza del relativo, del vento che cancella tutte le cose: forse l’impossibilità di pronunciare il nome di Dio, Yhwh, equivale all’inutilità della parola, che aumenta il vuoto e il nulla del reale. Questa insufficienza del dire, identificata nel predicatore Qohélet, in Virgilio diventa dramma: egli è il poeta prescelto per creare l’immagine di un popolo e quindi di un sovrano, del quale deve inventare le origini, recuperandone la radice mitica. La Fama di Ottaviano, che sarà poi Augusto, stringe Virgilio fino alla fine: il progetto dell’Eneide deriva da un’idea universalistica che si propone di unire Nord e Sud, Oriente e Occidente del mondo sotto Roma e nella sua pace. Ottaviano Augusto, sulle orme di Alessandro Magno, vuole realizzare questo progetto. In tal caso la parola è funzionale al potere: forse per questo sarà dal poeta negata fino all’ultimo, quando, nel viaggio per mare che dalla Grecia lo riporta in patria Virgilio chiede ai suoi amici di bruciare l’Eneide. Questa morte senza traccia entra comunque nel mito: Vassalli non la re-inventa, come fa altrove, ma ne rispetta il mistero.
Non così per Jaufré Rudel, “inventore della poesia come distanza” e quindi come amore lontano. Rudel si lega a quel processo di spiritualizzazione dell’amore tipico della scuola provenzale, dello stilnovo, ma assolutamente moderno, secondo quanto diranno Leopardi, Baudelaire, Salinas. Nella storia di Rudel le forme dell’amore e quelle della poesia coincidono: noi apprendiamo del suo innamoramento che la tradizione vuole per Odierna moglie di Raimondo e di quello che Vassalli ci propone per Eleonora regina d’Aquitania. Seguiamo questa favola durante la seconda crociata, ma soprattutto impariamo molto sul dire l’amore nella distanza che separa le parole dalle cose.
Lo scenario successivo, quello della Parigi del ‘400, nelle strade affollate intorno alla Sorbona, ci introduce nella vita di un poeta inconsapevole: quel Villon noto per la Ballade des pendus che ne caratterizza il verso e l’azione. Villon non crede o non sa di essere poeta: la sua vita è un alternarsi di piaceri, di peccati e di tentativi di assoluzioni. La sua parola gioca con l’invettiva o con i doppi sensi, rendendo la complicità col piccolo misfatto; ma si traduce anche nella descrizione della sofferenza di un’umanità che pecca perché costretta dalla miseria. Le parole del Testamento rendono questa consapevolezza, che tramuta il destino del poeta, di cui si perdono le tracce nell’esilio: ma ancora una volta, Vassalli ne immagina la fine, così lontana da quello che la sua vita lasciava immaginare, perché un’altra e diversa storia la caratterizza, una storia che si annulla nella quotidianità e nella norma.
Di fronte all’invettiva di Villon si pone la parola sarcastica di Leopardi: del poeta dell’Infinito Vassalli sceglie l’ultima produzione, quella del periodo napoletano. L’ironia del poeta di Recanati, che a Napoli trova una situazione culturale arretrata e uno spirito di reazione, diventa più forte colorandosi di una vis polemica prima sconosciuta: Leopardi attacca la cultura del facile progresso, del superficiale ottimismo che crede in una perfettibilità continua, ma anche la rigidità della censura, l’ottusità dei governanti. La sua Palinodia conserva i segni di una coscienza critica che non rinuncia e non cede.
Tuttavia, Vassalli è attento anche ad altro, e cioè a quella nuova vita che sembra avvolgere il poeta nei suoi ultimi anni napoletani: il ricordo di un amore reale, quello per Fanny Targioni Tozzetti, e l’amicizia di Ranieri, l’esule napoletano conosciuto a Firenze, danno quindi nuovo significato ad un soggiorno che sarà definitivo. La stessa Napoli, paese semibarbaro e semiafricano nelle parole di Leopardi, trascina infine il poeta nel suo ritmo e nel suo disordine: la città che ispira il Tramonto della luna e la Ginestra sarà anche il luogo della morte, oltre che di questa nuova vita; ma di una fine che giunge all’improvviso, quando Leopardi si trova in un momento di vitalità, lontano dalla riflessione che l’ha dominato sempre.
L’anarchico Leopardi ci sembra vicino al divino monello, come è definito Rimbaud, genio della poesia dell’adolescenza veggente, limpido fustigatore della banalità borghese, critico del clero e dello stesso Dio, in cui identifica il male. Rimbaud vive la sua Stagione all’inferno nel rapporto con Verlaine, fatto di trasgressione, di droghe e di autodistruzione; ma anche in questo vortice, egli sente sempre se stesso, si riconosce come poeta, conscio di aver ricevuto un dono. Dopo, col tempo, questo dono verrà meno e la vita avventurosa e dura lo condurrà a morire lontano. Tuttavia, l’adolescente ribelle, come tutti gli altri che Vassalli ci presenta, ha conosciuto Dio: quel dio, che secondo l’autore, è nella parola e solo in essa. Le parole sole possono fermare la vita, fissandola per sempre, ma i veri poeti con la loro stessa vita pagano il dono ricevuto: dono divino che li rende partecipi dell’essenza delle cose.

1) La copertina del volume
2) Sebastiano Vassalli. Fonte Apri pagina collegata http://www.silone.it/vassalli.htm


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© Biblioteca Nazionale di Napoli (maggio 2005)
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