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Percorsi bibliografici

La febbre dei libri: memorie di un libraio bibliofilo / Alberto Vigevani
di Luigi D'Amato

Alberto Vigevani
La febbre dei libri: memorie di un libraio bibliofilo
Palermo, Sellerio, 2000


Alberto Vigevani, La febbre dei libri (copertina)
Quello che si coglie scorrendo le pagine di questo bel libro di memorie di Alberto Vigevani è innanzitutto un sapore di cose perdute. Egli descrive cose, atmosfere, vive appena ieri ma che a noi immersi nel caos della società dell’informazione sembrano ormai appartenere ad un passato lontano. Ma chi era Alberto Vigevani? Libraio antiquario, editore, scrittore, ma soprattutto secondo Lalla Romano un poeta, e noi non possiamo non essere d’accordo. Chi, infatti, se non un poeta avrebbe potuto avvicinarsi con tanto amore e rispetto al mondo spesso misterioso dei libri? Che cosa se non una smisurata passione lo avrebbe sospinto in mille viaggi in tanti paesi alla caccia di libri rari a volte ritenuti perduti, quasi novello Achab nel mare bibliofilo? Attraverso le descrizioni, rese con un linguaggio fresco, talvolta umoristico,  di incontri meravigliosi, spesso fortunosi, con i libri, Vigevani ci ammalia. Ecco l’incontro con il Polifilo (Hypnerotomachia Poliphili) - stampato da Aldo Manuzio nel 1499 e ritenuto il più bello mai dato alle stampe dall’editoria italiana - nell’immediato dopoguerra e l’amarezza per l’impossibilità a poterlo acquistare viste le rovinose condizioni economiche.

Proprio durante la guerra comunque egli apre, con notevoli sforzi, la sua prima libreria antiquaria, ed essendo ebreo la intesta alla moglie non potendo fare altrimenti per le vergognose leggi razziali, chiamandola “Il Polifilo”. Ben presto questa diventa punto di riferimento culturale nell’operosa Milano degli anni ’50. L’attività  di libraio antiquario dà modo a Vigevani di venire in contatto con numerose personalità che movimentano la scena culturale e politica italiana in quegli anni e di cui egli ci restituisce inediti ritratti, tra gli altri Contini, Isella, Montale, Einaudi, Dalla Piccola, Rota e Mattioli. Nelle sue sapienti mani passano vere rarità bibliofile: le 127 vedute romane del Piranesi, la Bibbia appartenuta al Savonarola, la prima edizione illustrata del Boccaccio del 1492. Per soddisfare le richieste della sua numerosa e composita clientela Vigevani si avventura anche in campi a lui sconosciuti come quello della medicina ed anche qui approda a scoperte di libri leggendari come le prime edizioni del Vesalio De humani corFotografia di Alberto Vigevaniporis fabrica (Basilea 1543) o il bellissimo Guidi (Vidi) “De anatome” con le illustrazioni del Primaticcio. Il passo successivo non può essere altro se non quello della fondazione di una casa editrice che Vigevani chiama ancora una volta “Il Polifilo”, sicuramente il libro da lui più amato, e con la quale dà alle stampe prestigiose edizioni.

Ma è forse attraverso un episodio, quello dell’acquisto di un’opera che Vigevani fece dal libraio Banzi di Milano, che possiamo trovare la misura di questo suo straordinario viaggio nell’universo bibliofilo: “Proprio da Banzi comprai il libro più emozionante della mia carriera. Il libraio l’aveva messo insieme ad altri scarti sul bancone vicino all’ingresso. Era un bell’esemplare, con legatura in mezzo marocchino assai semplice, ma coeva dei tre tomi delle Considération sur les principaux evenéments de la Révolution francaise di Madame de Stael. Ero un cultore della letteratura francese se non di Madame de Stael e il prezzo era assai modesto: millecinquecento lire. Così presi il primo volume e lo aprii, giusto per vedere che portava quasi ad ogni pagina note contemporanee a matita. E lo richiusi immediatamente perché essendo un appassionato di Stendhal, lessi, sul foglio di guardia, a penna, questa nota: '1818, nicht mehr Neapolis'. Stendhal in quel periodo attendeva la nomina a console di Francia a Trieste, ma l’Austria, ritenendolo una spia, rifiutò il necessario gradimento, e nemmeno ebbe la nomina a Napoli. Dovette accontentarsi di Civitavecchia. E il fatto che l’annotazione fosse in tedesco, confermava l’appartenenza del volume e, sperai, delle note alle pagine, al milanese Beyle che aveva poi l’abitudine di scrivere di sé sotto altri nomi, come ad esempio 'Dominique', come delle amanti e degli amici, e di usare spesso, per cose che voleva segrete, altre lingue come il tedesco o l’inglese. Mi affrettai in preda ad una sorta di febbre, a chiudere il libro e a pagarne il lievissimo importo. Jacques Felix-Faure, noto stendhaliano, discendente di Felix Faure, intimo amico di Stendhal, e Victor Del Litto confermarono la mia scoperta e ne scrissero un libretto. I tre tomi erano annotati, con centinaia e centinaia di righe autografe, da Stendhal, e costituivano il  primo getto della sua Vie de Napoléon.” (pg.134-135)

Un sapore di cose perdute, si diceva all’inizio di questa breve recensione, ed infatti esperienze di questo tipo sono oggi quasi impossibili per noi che affoghiamo in un mare di bit e di immaterialità ed abbiamo irrimediabilmente perduto quella che Berenson chiamava la coscienza tattile.

Luigi D'Amato

Illustrazioni:
1) La copertina del volume
2) Alberto Vigevani


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© Biblioteca Nazionale di Napoli (gennaio 2005)
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