Gilles
Deleuze, L’esausto, a cura di Ginevra Bompiani. Napoli, Cronopio,
1999.
“I
dannati di Beckett sono la più stupefacente galleria di posture
e posizioni, dopo Dante. Certo Macmann osserva che “si sentiva più
a proprio agio seduto che in piedi e coricato piuttosto che seduto”.
Ma questa è una formula più adatta alla stanchezza che alla sfinitezza.
Sdraiarsi non è mai la fine, l'ultima parola, è la penultima, e
si rischia di essere abbastanza riposati, se non per alzarsi, almeno
per girarsi o strisciare. Per fermare lo strisciante bisogna ficcarlo
in un buco, piantarlo in un orcio dentro al quale, non riuscendo
più a muovere le membra, smuoverà ancora qualche ricordo. Ma la
sfinitezza non si lascia sdraiare e, a notte fatta, resta seduta
al suo tavolo, testa svuotata su mani prigioniere” (Gilles Deleuze).
“Pochi filosofi, forse solo i più grandi, danno ai concetti che
creano e che elaborano una pregnanza così intima, così pudicamente
corporea come il filosofo francese, che si interroga su questi brevi
testi di Beckett”.
(Ginevra Bompiani).
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