Daniela Padoan, Come una rana d’inverno.
Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz, Milano, Bompiani,
2004
“Considerate se questa è una donna / senza
capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare
/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d’inverno”.
Con questa immagine scarnificata, Primo Levi, nel celebre incipit
di Se questo è un uomo, si rivolge ai lettori,
evocando donne spogliate della propria identità, non
più padrone del proprio corpo - quel grembo - che è tramite
vivente della relazione con l’altro. Daniela Padoan raccoglie
in questo libro le testimonianze di tre donne - Liliana Segre,
Goti Bauer, Giuliana Tedeschi - sopravvissute al campo femminile
di Auschwitz-Birkenau. L’autrice conferisce alle tre
interviste il ritmo di una lucida, accorata narrazione, fatta
di rimandi e relazioni, perché come dice Giuliana Tedeschi “le
donne sono maglie, se una si perde, si perdono tutte”.
Nella storiografia dello sterminio nazista le donne sono pressoché invisibili,
la loro presenza, data per acquisita, è sovrapposta
a quella maschile e su questa si appiattisce. Ma come è scritto
nella Postfazione “senza dimenticare per un solo
istante che l’obiettivo dei nazisti era cancellare dal
mondo gli ebrei, uomini o donne che fossero, riflettere sulla
peculiarità delle sofferenze e sopraffazioni patite
dalle donne, così come sul loro modo di opporre resistenza
e rendere testimonianza, può servire ad allargare di
un poco l’ambito di riflessione”.
Daniela Padoan, collabora con “Il Manifesto” e
con la rivista “Via Dogana”; ha lavorato come autrice
per Rai Educational e per diverse trasmissioni radiofoniche
di RadioRai. Tra i suoi libri Miti e leggende dei popoli
del mondo antico (Sansoni scuola, 1996), Miti e leggende
dei popoli del mondo (Sansoni scuola, 1998); ha curato
nel 2001 Un’eredità senza testamento. Inchiesta
di “Fempres” sui femminismi di fine secolo (I
Quaderni di Via Dogana) e nel 2003 Il cuore nella scrittura.
Poesie e racconti della Madres de Plaza de Mayo (I Quaderni
di Via Dogana).
(dalla quarta di
copertina)
Giungono
voci da lontano. Sono voci incerte, da prima, esitanti. Cercano,
nelle battute di un dialogo, un punto di appoggio o meglio,
una ragione per dire. Dire che cosa? Sono voci sulla Shoah,
l’esperienza
dello sterminio vissuto da donne che al tempo di quella esperienza
erano molto giovani. L’esitazione a entrare nel discorso è questa:
qualcosa è accaduto ma non è un’esperienza
nel senso umano, magari tremendo ma umano della parola, come
la guerra. È, qualcosa che si sporge nel vuoto, sopra
un abisso. Certo, lo puoi raccontare, non è indicibile.
Ma le voci che parlano si rendono conto di un ostacolo enorme,
come di un disturbo neurologico. Non è l’incapacità di
narrare, ma l’incapacità della cosa di essere
narrata. C’è come un impedimento delle parole
a formare una sequenza sensata di eventi. Ci sono invece immagini
a scatto, come una luce stroboscopica che rivela gradi di orrore
non concepibili, che continuano a susseguirsi senza che vi
sia un senso, una ragione, una fine tranne la morte. Le voci
esitano, sostano con pudore da un lato, accanto alla memoria
delle loro stesse vite. Sono di fronte a una scena che non
si poteva esprimere allora e non si può esprimere adesso.
[…]
Torna, in questo libro, con un intreccio a bassa voce di dettagli,
il racconto di ciò che è stato. Voci femminili
che, suggerisce la scrittura, raccontano calme ciò che
hanno vissuto, ricostruiscono con pacatezza, persino con pazienza,
lo spazio nero e vuoto della storia in cui sono state gettate.
Il progetto era il delitto immenso e perfetto, ed è questo
il fallimento inaccettabile contro cui il negazionismo furiosamente
si ribella. Paradossalmente fa ricorso al buon senso per spargere
la convinzione che “non è possibile”.
La grandezza di questo libro di voci di donne che dopo molti
anni ricordano è l’ostinazione a narrare nei
dettagli triviali e orrendi, a lasciare intravedere a chi legge
ciò che i loro occhi hanno visto e non possono non testimoniare.
Nessuna memoria della Shoah si sovrappone a un’altra.
Nella sua vastità lo sterminio nazista avveniva per
forza una vita alla volta, destino per destino. Questo non è un
libro in più su un caso doloroso della storia. Questa è la
testimonianza unica di tre vite di donne che contro il più vasto
e perfetto programma di morte che sia mai stato organizzato
sono qui a raccontare. Ascoltatele. (da: Presentazione
di Furio Colombo, pp. 5-7)
Collegamenti
http://www.stradanove.net/
http://www.ecologiasociale.org/
http://www.viottoli.it/
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