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Fondo librario "Soggettività femminile"
Teca delle nuove accessioni 2007

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May Sinclair, Le tre Brontë, introduzione, traduzione e note di Maria Del Sapio Garbero, Napoli, Liguori, 2000

Esempio di un modo nuovo, ‘modernista’, di fare biografia, questa monografia delle Brontë che May Sinclair scrive nel 1912 insegue e tesse un effetto: “un effetto di unità, di consonanza, di profonda e tragica armonia” che […] agisce sulle Brontë con la fatalità di un destino poetico. I ‘ritratti’ di May Sinclair […] scartano l’inessenziale, conservano la necessità dei rapporti e delle proporzioni. Tributo di un’artista verso altre artiste, ricerca di una genealogia per la scrittura femminile, May Sinclair coglie tutta la novità delle Brontë: la nascita di una mistica della passione femminile; la forte coscienza della diseguaglianza dei sessi presente con tutto il suo carico di dolore nei romanzi di Charlotte, ma che non manca neppure in quelli di Anne; la posa superba di Emily rispetto alle insufficienze della vita. A lei soprattutto May Sinclair strappa (per consegnarlo al Modernismo) lo sguardo visionario, il potere che lo sguardo interiore ha di trasformare la mancanza in pienezza, ovvero un nuovo senso di realtà che vibra di un significato che è altro da sé, e che è raggiungibile in virtù di una privazione e di un’attesa. È il vincolo speciale che, in gradi diversi, lega le Brontë alla materia, a Haworth e alla loro brughiera, e che nella ‘vita’ scritta da May Sinclair diviene selettivo principio ordinatore, avvincente dispositio narrativa, criterio di verità.

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Maria Del Sapio Garbero insegna Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università Roma Tre. Ha scritto di romanticismo, vittorianesimo, fin de siècle, modernismo, oltre che di questioni connesse con la postmodernità e i gender studies. Fra i suoi studi: L’assenza e la voce (Liguori) e Alice nella città (Tracce). Ha curato il volume Trame parentali/trame letterarie. Di May Sinclair ha già curato (per Argonauta) L’incrinatura nel cristallo (1991) e Storie fantastiche (1992).

(dalla quarta di copertina)

Si sono escogitate teorie di ogni tipo per spiegare il modo rapido e prodigioso con cui vennero fuori i romanzi delle tre sorelle. Si è detto che li scrissero solo per pagare i debiti dopo essersi rese conto che le poesie non rendevano. Sarebbe più esatto dire che li scrissero perché era destino scriverli, e perché la loro ora era arrivata, e che li pubblicarono senza la più vaga speranza di poterne trarre profitto. Prima che si rendessero conto di quanto stava loro capitando, Charlotte si trovò coinvolta in quella che a lei sembrò una mascolina corrispondenza d’affari con le case editrici. Prima uscirono le Poesie a nome di Currer, Ellis e Acton Bell, e nulla accadde. Il professore fece il suo giro di editori, e nulla accadde. Poi, sul finire del quarto anno ecco apparire Jane Eyre e Charlotte fu famosa. Ma non Emily. Uscì pure Cime Tempestose, e nulla accadde. […] Il suo bagliore avrebbe dovuto bruciare ed annientare Agnes Grey, ma nulla accadde.(p. 35)

Può succedere che una biografia venga scritta per effetto di un maleficio, in preda a una fascinazione che seduce in un luogo ineffabile, verso una ‘cosa’ che viene al tempo stesso promessa e negata. Succede nelle grandi biografie, agli artisti appassionati della vita di un altro artista, artisti innamorati dell’anima del loro fantasma, e dello scenario in cui ha abitato, così come si può esserlo del segreto stesso della loro arte. La biografia diventa allora lavorio per far apparire nel gesto ripetitivo della scrittura biografica, quella ‘cosa’ che si vorrebbe per sé, che si vuole capire e carpire. La devozione sottointende allora un agone, un agone che può durare una vita […] May Sinclair scrive la vita delle Brontë sotto l'effetto di questo maleficio, preda di fantasmi che promettono di condurla verso il luogo stesso della poesia. Perché questo, a me pare, che lei più di altri che l’hanno preceduta intuisce: che nelle Brontë il luogo biografico - un pezzetto dello Yorkshire - ha agito con la fatalità di un destino poetico. […]
Nel 1912 pubblica Le tre Brontë. Una biografia letteraria che non sarebbe stato necessario scrivere (già molto allora si era non fosse per quell’effetto (di unità, di consonanza ...) con il quale May Sinclair vuole far combaciare non solo la vita delle Brontë, ma lo stile stesso della sua scrittura.

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E decidendo che è in quell’effetto la verità della vita delle Brontë, May Sinclair rivoluziona la forma della biografia. Intanto la sfronda, alleggerendolo della massa di fatti che può intralciare l’effetto, offuscarlo o tradirlo. […] Per May Sinclair (e lo capiamo meglio dopo aver letto TheThree Sisters, un romanzo ispirato alle Brontë che scrive subito dopo, nel 1914), si tratterà sempre più di far coincidere il senso intero di una vita, e il suo arco lungo, con l’attimo (o con gli attimi) in cui l’io si incontra con la visione […].

Così come nel romanzo che il modernismo scriverà, la scrittura biografica ne Le tre Brontë si tende attraverso un lavoro di scarto e non di accumulo verso le figure che vuole ritrarre. Perché è secondo l’ordine dettato dalla vita interiore che May Sinclair sente di dover scegliere e disporre i materiali della vita. Sente cioè di doverli organizzare secondo l’economia che ha a centro l’incontro che attraverso l’arte le Brontë hanno stabilito con l’intangibile. Che è poi l’ordine proprio al «ritratto» o «romanzo dell’artista». Una scelta difficile: perché da biografa dovrà allo stesso tempo rassegnarsi ad attraversare la prosaicità delle parole comuni, e farsi strada fra una massa di materiali di seconda mano […].
I ritratti di May Sinclair sono scritti in questa brontiana economia dell’ineluttabile. Scartano l’inessenziale, conservano la necessità dei rapporti e delle proporzioni. Hanno il «grande tratto», la pennellata essenziale e incisiva che li fa sfumare con «consonanza» nel cromatismo essenziale dello sfondo. Una virata importante per la biografia dell’epoca.
Per fare questo, per diventare più elementare, meno letterale e più penetrante, May Sinclair ha recuperato «l’innocenza dello sguardo» […] (da: Il Granito e il Biancospino di Maria Del Sapio Garbero, pp. 1-2; 13-4)

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