Jung Chang, Cigni selvatici. Tre figlie
della Cina, Milano, Tea, 2006
La storia
vera di «tre
figlie della Cina» – l’autrice, sua madre,
sua nonna – le cui vite e le cui sorti rispecchiano un
tumultuoso secolo di vita cinese, un’epoca di rivoluzione,
di tragedie e di speranze. Grazie allo straordinario talento
di Jung Chang, i drammatici ricordi personali si fondono con
una monumentale saga umana, e un documento storico si trasforma
in un’indimenticabile narrazione letteraria di sapore
classico.
Jung
Chang è nata a
Yibin, nella provincia cinese del Sichuan, il 25 marzo 1952.
Ha lasciato il suo paese nel 1978 e si è trasferita
in Gran Bretagna, a York, dove è stata la prima studentessa
della Repubblica Popolare Cinese a conseguire un dottorato.
Vive attualmente a Londra. Cigni selvatici, sua prima
opera, è stata uno dei casi letterari più clamorosi
degli ultimi anni, con traduzioni in ventisei lingue e oltre
otto milioni di copie vendute in tutto il mondo, ed è stata
insignita del NCR Arward (per il miglior libro di saggistica),
del British Writers’ Guild Award e del premio Book of
Year per il 1993.
(dalla quarta di copertina)
Ascoltando
mia madre, mi sentii sopraffare dal suo desiderio struggente
di essere compresa da me. Mi colpì anche il fatto che le sarebbe piaciuto
davvero che scrivessi. Dava l’impressione di sapere che
quanto mi stava davvero a cuore era scrivere, e m’incoraggiava
a realizzare i miei sogni. Non mi incitava avanzando richieste
esplicite, cosa che non rientrava nel suo modo di fare, ma
fornendomi delle storie ... e mostrandomi in che modo affrontare
il passato. Sebbene avesse vissuto un’esistenza piena
di sofferenze e di prove difficili, i suoi racconti non erano
intollerabili o deprimenti, anzi, rivelavano una vena di forza
che risollevava lo spirito.
Fu mia madre, in fondo, a ispirarmi
la stesura di Cigni selvatici, la storia di mia nonna,
di mia madre e mia, sullo sfondo dei turbolenti avvenimenti
della Cina del ventesimo secolo. Per due anni versai la mia
buona dose di lacrime, mi girai e mi rigirai notti intere senza
chiudere occhio. Non avrei tenuto duro, se non fosse stato
che ormai avevo trovato un amore che mi riempiva la vita e
mi proteggeva con la sua profonda tranquillità (da: Introduzione
all’edizione 2003, p. XII).
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