Tina
Anselmi, Anna Vinci, Storia di una passione politica, Milano,
Sperling & Kupfer, 2006
Tina è una studentessa
di diciassette anni quando, il 26 settembre 1944, assiste all’impiccagione
di un gruppo di giovani partigiani nella piazza di Bassano
del Grappa. Una scena terribile, che suscita in lei una risposta
immediata: non si può restare spettatori della violenza
dei nazifascisti senza tradire i valori della libertà e
della pace. Non a caso il suo racconto autobiografico elaborato
a partire da una lunga intervista fatta da Anna Vinci, prende
le mosse proprio dall’esperienza di staffetta partigiana,
che si rivelerà una preziosa fonte di insegnamenti:
quella, infatti, e il successivo impegno a sostegno delle operaie
delle filande, la porteranno a maturare l’interesse per
l’attività politica, in particolare per le questioni
femminili e sociali. Il periodo del dopoguerra è un
tempo ricco di fermenti durante il quale Tina Anselmi partecipa
alla ricostruzione delle istituzioni e del sindacato […]
Seguono importanti eventi della vita politica italiana vissuti
da deputata - e poi ministro - e autorevole esponente della
Democrazia Cristiana: la battaglia per la legge sul divorzio,
l’assassinio di Moro, gli attacchi della P2 di Licio
Gelli alla democrazia. Nel libro la parlamentare veneta ripercorre
questi momenti riflettendo sugli ideali che hanno sostenuto
per lunghi anni il suo impegno, sul ruolo dei cattolici e la
necessità di rispettare la laicità dello Stato,
sulla bellezza di una politica al servizio dell’uomo,
basata sul confronto delle idee e non sugli schieramenti, che
persegue il bene comune e non l’interesse privato. Una
testimonianza che è un invito a ricreare, per il futuro,
le basi di un lavoro politico autenticamente democratico.
Tina
Anselmi è nata
a Castelfranco Veneto nel 1927 in una famiglia cattolica antifascista.
Il suo impegno civile e politico è iniziato con la Resistenza
e proseguito, dopo la guerra, nel sindacato e all’interno
della Democrazia Cristiana. Eletta alla Camera dei deputati
per la prima volta nel 1968, è stata riconfermata fino
al 1992, anno in cui si è ritirata dalla vita parlamentare.
Nel 1976 è stata nominata, prima donna in Italia, ministro
del Lavoro. Ha retto in seguito per due volte anche il ministero
della Sanità. È stata inoltre presidente della
Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica
P2 e della Commissione nazionale sulle conseguenze delle leggi
razziali sulla comunità ebraica.
Anna
Vinci è nata a
Roma, dove vive insieme ai suoi tre figli. Ha lavorato per
la Rai, come autrice e conduttrice di trasmissioni radiofoniche,
quali Sala F, Tre uno tre uno, I giorni.
In televisione si è occupata in modo particolare di
libri, intervistando, come inviata di Unomattina,
i maggiori scrittori contemporanei. Ha curato e condotto, per
quattro anni consecutivi, una rubrica mensile di consigli di
lettura per la trasmissione In Famiglia. Per Raisat-Extra
ha realizzato il programma I migliori anni della nostra
vita, una serie dedicata ad alcuni protagonisti del nostro
tempo. Ha pubblicato diversi romanzi, tra i quali ricordiamo Restituta
del porto (2002), Marta dei vocabolari (2002), Il
signore del sorriso (2003).
«La nostra storia di
italiani ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un
bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce
solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati
attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto
un popolo. Ci potrebbe far riflettere sul fatto che la democrazia
non è solo libere elezioni - quanto libere? -, non è soltanto
progresso economico - quale progresso e per chi? È giustizia. È rispetto
della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per
i vecchi e speranza per i figli. È pace.»
(dalla seconda, terza e
quarta di copertina)
Tina,
nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane, come
tante, nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze
e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo
fossimo eccezionali, ed è questo
che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo
la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte
mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla
morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici,
i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire
la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le
file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi,
partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un
ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano
fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci
ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile,
ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore
non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano
[…] c’erano le grida di dolore degli innocenti
a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio
quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra
assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire
battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte,
a morire per la pace e per la libertà.
Vorrei
che voi sfogliaste insieme a me l’album di ricordi,
con i volti dei miei tanti compagni di grandi e piccole battaglie,
fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando
ci riconoscemmo simili.
Mi rivedo,
ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti
a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna
più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate,
un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un
ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo,
tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme:
questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza. (da:
pp.1-2)
Collegamenti
http://it.wikipedia.org/
http://www.anpi.it/
http://novecento.org/ita/
http://www.ilgiardinodeiciliegi.firenze.it
http://www.arabafelice.it/dominae/
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