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Fondo librario "Soggettività femminile"
Teca delle nuove accessioni 2007

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Tina Anselmi, Anna Vinci, Storia di una passione politica, Milano, Sperling & Kupfer, 2006

Tina è una studentessa di diciassette anni quando, il 26 settembre 1944, assiste all’impiccagione di un gruppo di giovani partigiani nella piazza di Bassano del Grappa. Una scena terribile, che suscita in lei una risposta immediata: non si può restare spettatori della violenza dei nazifascisti senza tradire i valori della libertà e della pace. Non a caso il suo racconto autobiografico elaborato a partire da una lunga intervista fatta da Anna Vinci, prende le mosse proprio dall’esperienza di staffetta partigiana, che si rivelerà una preziosa fonte di insegnamenti: quella, infatti, e il successivo impegno a sostegno delle operaie delle filande, la porteranno a maturare l’interesse per l’attività politica, in particolare per le questioni femminili e sociali. Il periodo del dopoguerra è un tempo ricco di fermenti durante il quale Tina Anselmi partecipa alla ricostruzione delle istituzioni e del sindacato […] Seguono importanti eventi della vita politica italiana vissuti da deputata - e poi ministro - e autorevole esponente della Democrazia Cristiana: la battaglia per la legge sul divorzio, l’assassinio di Moro, gli attacchi della P2 di Licio Gelli alla democrazia. Nel libro la parlamentare veneta ripercorre questi momenti riflettendo sugli ideali che hanno sostenuto per lunghi anni il suo impegno, sul ruolo dei cattolici e la necessità di rispettare la laicità dello Stato, sulla bellezza di una politica al servizio dell’uomo, basata sul confronto delle idee e non sugli schieramenti, che persegue il bene comune e non l’interesse privato. Una testimonianza che è un invito a ricreare, per il futuro, le basi di un lavoro politico autenticamente democratico.

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Tina Anselmi è nata a Castelfranco Veneto nel 1927 in una famiglia cattolica antifascista. Il suo impegno civile e politico è iniziato con la Resistenza e proseguito, dopo la guerra, nel sindacato e all’interno della Democrazia Cristiana. Eletta alla Camera dei deputati per la prima volta nel 1968, è stata riconfermata fino al 1992, anno in cui si è ritirata dalla vita parlamentare. Nel 1976 è stata nominata, prima donna in Italia, ministro del Lavoro. Ha retto in seguito per due volte anche il ministero della Sanità. È stata inoltre presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 e della Commissione nazionale sulle conseguenze delle leggi razziali sulla comunità ebraica.

Anna Vinci è nata a Roma, dove vive insieme ai suoi tre figli. Ha lavorato per la Rai, come autrice e conduttrice di trasmissioni radiofoniche, quali Sala F, Tre uno tre uno, I giorni. In televisione si è occupata in modo particolare di libri, intervistando, come inviata di Unomattina, i maggiori scrittori contemporanei. Ha curato e condotto, per quattro anni consecutivi, una rubrica mensile di consigli di lettura per la trasmissione In Famiglia. Per Raisat-Extra ha realizzato il programma I migliori anni della nostra vita, una serie dedicata ad alcuni protagonisti del nostro tempo. Ha pubblicato diversi romanzi, tra i quali ricordiamo Restituta del porto (2002), Marta dei vocabolari (2002), Il signore del sorriso (2003).

«La nostra storia di italiani ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo. Ci potrebbe far riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni - quanto libere? -, non è soltanto progresso economico - quale progresso e per chi? È giustizia. È rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace.»

(dalla seconda, terza e quarta di copertina)

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Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane, come tante, nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi, partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano […] c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà.

Vorrei che voi sfogliaste insieme a me l’album di ricordi, con i volti dei miei tanti compagni di grandi e piccole battaglie, fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando ci riconoscemmo simili.

Mi rivedo, ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate, un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo, tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme: questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza. (da: pp.1-2)

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