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Fondo librario "Soggettività femminile"
Teca delle nuove accessioni 2007

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Catherine Destivelle, Verticali, Milano, Corbaccio, 2005

Le sue prime scalate le ha compiute in falesia a Fontainebleau da ragazzina e, dopo aver praticato il free climbing per puro divertimento, Catherine Destivelle a venticinque anni è entrata nel mondo della competizione dove ha ottenuto più volte il titolo di campionessa mondiale.
Unica donna ad aver superato un ottavo grado in falesia, la Destivelle decide di abbandonare le gare per tentare imprese tecnicamente quasi impossibili ma a lei più congeniali: ripete la via Bonatti al Petit Dru e poi apre in solitaria una nuova via, scala in diciassette ore la mitica parete nord dell’Eiger, prova l’ebbrezza degli ottomila raggiungendo la vetta dello Shishapangma, va in Antartide. Alpinista, chinesiterapista e mamma, la Destivelle racconta in questo libro l’equilibrio perfetto che è riuscita a raggiungere, facendo della montagna e dell’alpinismo la sua grande passione, ma senza rinunciare a vivere «una vita normale».

Catherine Destivelle è nata nel 1960. Alpinista professionista, è considerata uno dei maggiori free climber al mondo, oltre che chinesiterapista e consulente per aziende che producono materiali tecnici per l’arrampicata. Tiene conferenze in tutto il mondo sulle sue imprese.

(terza e quarta di copertina)

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La montagna che avevamo scalato non aveva un nome. […] ci trovavamo in Antartide […] la foto destinata ad arricchire la nostra collezione di ricordi e a essere proposta ai media […] doveva riuscire il meglio possibile […]. Senza darmi nemmeno un’occhiata alle spalle, sicura che il pendio fosse tutto di ghiaccio omogeneo, feci un passo indietro. […] Perso l’equilibrio, per un attimo le mie braccia rotearono in aria come pale di mulino. Ma non servì a nulla, perché mi sentii precipitare. […] Al terzo rimbalzo, qualche metro più in giù, il mio sguardo affondò per una frazione di secondo nell’abisso buio e ghiacciato. Allora mi dissi:«Se non riesce a trattenermi questa volta è tutto finito». La sciocchezza che avevo commesso mi sarebbe costata la vita. […] Mentre le mie capriole mi sembravano sempre più violente e vertiginose, ecco che la corda bloccò di botto la caduta.. La prima parte del mio corpo che riprese contatto con la parete fu il mento. Felice che l’incubo fosse cessato, ma un po’ stordita, ci misi due o tre secondi a capire dov’era l’alto e dov’era il basso. […] Con le mani tremanti per l’angoscia, tirai su il bordo del pantalone destro e con orrore scoprii che avevo una frattura esposta. […] Ventiquattr’ore più tardi la squadra di soccorso poté infine atterrare e sottrarci a quell’inferno. Nel vedere l’espressione allucinata di coloro che ci accolsero a Patriot Hills, capii che mi stavano guardando come si guarda un fantasma. […] La coscienza ottenebrata dal sedativo, il viso grondante di lacrime per la prima volta dopo la caduta, compresi ciò che avevo intuito dagli sguardi e dalle frasi che percepivo vagamente: «È un miracolo che sia sopravvissuta », «She comes back from hell» (Sta tornando dall’inferno). La storia finì bene. Oggi, grazie all’intervento di un esperto chirurgo di Punta Arenas in Cile, non mi rimane nemmeno un segno di quell’incidente.
Miracolata? Io non la vedo esattamente così. Certo, non si capirà mai che cos’è che veramente consente a un individuo di trovare le risorse per reggere a una situazione del genere. D’altra parte ciò di cui sono certa è che non avrei mai potuto venirne fuori senza tutta l’esperienza accumulata in montagna fin dai miei primi passi sulla roccia. (da: Introduzione, p. 5-7, 18)
Quando ero bambina nei weekend i genitori ci portavano a prendere aria nella foresta di Fontainebleau […]. Avevo molti amici e giocavamo all’aria aperta per tutto il fine settimana: pattini a rotelle, bicicletta, pallone, biglie… Ci divertivamo insomma quasi quanto nella foresta. Finché i giochi si fecero meno spontanei, meno spensierati. I miei amici, ragazze e ragazzi in eguale misura, non avevano più lo stesso entusiasmo per gli sport all’aria aperta. Preferivano scambiarsi confidenze, ascoltare musica, starsene al chiuso per interi pomeriggi, oppure andare in giro per la città a fare «scemenze», come dicevano i grandi. Non si trattava di cose gravi, la scemenza peggiore era quella di fumare sigarette di nascosto ... mentre io diventavo aggressiva, irritabile, giravo a vuoto, senza sapere che cosa inventare per passare il tempo. I miei genitori se ne preoccuparono e mi proposero allora di iscrivermi al Club Alpin Français per arrampicare. Non me lo feci dire due volte! Era il mio più grande desiderio da quando avevo sentito un’amica di mia madre che ne parlava con i miei genitori. Sapevo che arrampicare era un buon approccio all’alpinismo, dunque alla montagna, il che rispondeva perfettamente a quella che era stata la mia primissima vocazione: fare la pastora! Al compimento dei dodici anni, in settembre, fui dunque iscritta al CAF , e potei in piena libertà andare tutte le domeniche nella foresta di Fontainebleau. (da: Nascita di una passione, pp.19-20)

Dall’indice: Introduzione; 1 – Nascita di una passione; 2 – Quando arrampicare diventa un mestiere; 3 – Ritorno alla montagna: le Torri di Trango e il pilastro Monatti; 4 - I Drus: una «prima»; 5 – L’Eiger in solitaria invernale; 6 – Le Grandes Jorasses e il Cervinio; Conclusione.

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