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Dioscurides Neapolitanus
Biblioteca Nazionale di Napoli
Codex ex Vindobonensis Graecus 1

Il codice della Biblioteca Nazionale di Napoli


Dioscurides, Herbarium (De materia medica) - in greco
Ms. membr. sec. VI ex.-VII in., cc 172, mm 290x250, scrittura greca maiuscola biblica

Segn. Bibl. Naz. Nap. Ms. ex-Vind. Gr. 1
 

Il prezioso codice, conosciuto come Dioscurides Neapolitanus, ci testimonia l'opera di Pedanio Dioscoride, medico greco nato ad Anazarba presso Tarso in Cilicia e vissuto nel I sec. d.C. Egli, al tempo di Nerone, scrisse il trattato, Perì üles iatrichès, in cinque libri, considerato il più importante manuale di medicina e di farmacia di tutto il mondo greco romano e, nel medioevo, tenuto nella massima considerazione sia in occidente che tra gli arabi.
In esso si parla dell'efficacia terapeutica delle sostanze naturali animali, vegetali e minerali. Il codice della Biblioteca Nazionale di Napoli ci tramanda il solo “erbario” in 170 pagine miniate, con tutte le piante medicinali conosciute, accompagnate da un commento scritto per la descrizione della singola pianta, dell'habitat, dell'utilizzo terapeutico. Fortemente legato al Dioscurides Costantinopolitanus di Vienna - prodotto a Costantinopoli intorno al 512 per la principessa Giuliana Anicia, figlia dell'imperatore d'Occidente Flavio Anicio Olibrio - probabilmente quale derivato di un medesimo archetipo, non riporta figure antropomorfe e zoomorfe, come il codice viennese ed altri dioscoridei, quali il Chigiano e il Parigino.
La vivacità delle illustrazioni, l'impostazione delle pagine, che sono impreziosite da un ricco commento, l'alta antichità, ne fanno un testimone fondamentale della cultura medica greco-romana e della sua accoglienza nel mondo bizantino-italiota tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo, testimoniando il gusto di un'epoca, che al trattato prettamente scientifico preferisce un testo più didascalico e manualistico.
In effetti, come già ipotizzato da Bernard de Montfaucon, che alla fine del '600 lo vide a Napoli e lo lodò per la sua bellezza, sembra non possa esser messa in dubbio la sua origine italiana, anche se alcuni studiosi propendono per l'esarcato di Ravenna ed altri per il Mezzogiorno, in ambiente vicino a Cassiodoro.
Il codice appartenne al letterato napoletano Antonio Seripando, fratello del più famoso cardinale Girolamo, generale degli agostiniani, tra i protagonisti del Concilio di Trento, già dai primi anni del 1500, ricevuto in dono dall'amico Girolamo Carbone, dottissimo umanista della corte aragonese. La proprietà del Carbone sembra che debba legarsi al dono fattogli dal filologo e bibliofilo cosentino, Aulo Giano Parrasio, di rientro a Napoli da Milano. Quest'ultimo l'avrebbe ereditato da Demetrio Calcondila, di cui aveva sposato la figlia Teodora.
Il codice, quindi, già a Napoli sicuramente fin dal primo ventennio del 1500, presso il convento agostiniano di S. Giovanni a Carbonara, fu portato in Austria, nel periodo del viceregno austriaco, per voler di Carlo VI d'Asburgo, nel 1718, insieme ad altri codici di notevole pregio.
Restituito dopo la prima guerra mondiale nel 1919, dopo una breve sosta nella Biblioteca Marciana di Venezia, rientrò definitivamente a Napoli, per essere custodito nella Biblioteca Nazionale, il 7 giugno 1923.

Vincenzo Boni