Canto
notturno di un pastore vagante dell'Asia. 1829-30
cc.6 mm.178x120
C.L.XIII.25
Tre
bifogli di carta spessa e rigata - analoghi a quelli impiegati
per le Ricordanze, la Quiete e il Sabato
- inseriti l'uno nell'altro in modo da comporre un fascicoletto
di sei carte, recano nelle prime otto facciate (bianche le cc.5r-6v)
la stesura del Canto notturno di un pastore vagante dell'Asia;
l'errante, introdotto soltanto a partire dall'edizione
Starita del '35, conferirà al titolo più ampie connotazioni semantiche.
Preceduto dall'indicazione della data di elaborazione 1829.
22 Ottob.-1830.9 Aprile - un arco cronologico particolarmente
ampio - il titolo è collegato mediante richiamo (1 tra
due parentesi) ad una citazione in francese, che figura subito
dopo, delimitata da due tratti orizzontali di penna (il secondo
dei quali abolito da segni obliqui): è derivata, come è noto,
dal Voyage d'Orenbourg à Boukhara, fait en 1820,
un esteso rapporto della missione politica e culturale che il
russo barone di Meyendorff condusse nei piccoli stati musulmani
di lingua turca della riva destra dell'Oxus. Dall'indicazione
che chiude la nota dell'autografo (appresso il Giornale dei
dotti, 1826, settembre. p.518) si evince che Leopardi,
come ha sottolineato il Savoca, non dové avere esperienza diretta
dell'opera del Meyendorff (edita a Parigi presso Dondy-Dupré),
ma ne avesse tratto notizia dalla recensione comparsa nel settembre
1826 sul "Journal des Savans" a firma dell'Abel-Rémusat. Il passo
riguardante la popolazione nomade dei Kirghisi - e la consuetudine
dei pastori di errare con le greggi in quelle aride e sabbiose
contrade - era già stato trascritto nello Zibaldone (pp.4399-4400,
del 3 ottobre 1828) ed aveva ispirato il progetto di un Canto
notturno di un pastore dell'Asia centrale alla luna (presente
nella lista di titoli "Carmi lirici del genere dei Sepolcri").
L'aspetto dell'autografo napoletano ha dato luogo a varie interpretazioni,
suscitando fra gli studiosi una lunga e ancora irrisolta querelle.
I centoquarantaquattro versi vi figurano ordinatamente e nitidamente
vergati con un discreto margine su entrambi i lati; le non numerosissime
varianti appaiono trascritte contestualmente all'esemplazione
del testo, talora nell'interlinea, vicine alla lezione a cui si
riferiscono, talora collocate a destra nello spazio libero del
foglio. Tuttavia la sesta strofa ("Forse s'avessi io l'ale"),
appare con ogni probabilità posteriore, in quanto contraddistinta
da una variazione di inchiostro piuttosto netta; le strofe precedenti,
inoltre, sono state numerate dall'autore nell'ordine: 1., 2.,
5., 4., 3.
Rinviando ai contributi specifici per le articolate tesi proposte
al riguardo, si fa cenno qui delle principali posizioni, recentemente
ricostruite e rimesse in discussione dal Savoca. Il Moroncini
ritenne che il canto - in cui l'ordine di trascrizione dell'autografo
coincideva con quello di composizione - si concludesse originariamente
con l'emistichio a me la vita è male, e che successivamente
l'aggiunta della sesta e ultima strofa avesse provocato il riordinamento
interno delle prime cinque. Di diverso orientamento la tesi del
Monteverdi - concordi tra gli altri il Fubini, il Bigi, il Bigongiari,
il Binni - fondata sul presupposto che il manoscritto napoletano
sia rappresentativo di uno stadio già avanzato dell'elaborazione:
il canto, inizialmente composto di tre sole strofe (1., 2.
e 4. dell'autografo), si sarebbe sviluppato per successivi
ampliamenti, inglobando dapprima la strofa "Nasce l'uomo" (3.),
poi quella "O greggia mia" (5.), che l'autore provò ad
inserire al terzo posto mediante la numerazione 1., 2., 5.,
3., 4. Scontento del nuovo finale (Me, s'io giaccio in
riposo, il tedio assale?), si sarebbe risolto ad aggiungere
la sesta strofa. Sulla questione sono ritornati negli anni '70
il De Robertis e il Martelli, impugnando la tesi del Monteverdi
e recuperando in parte l'idea del Moroncini che sia stata l'aggiunta
dell'ultima strofa a produrre il riordinamento delle precedenti.
Supportando la sua acuta ricostruzione con un attento esame paleografico,
infine, il Savoca ha sostenuto che "le redazioni inscritte nell'autografo
non siano due (una in cinque strofe e una in sei) ma tre (due
in cinque strofe più quella in sei)", e che la numerazione è senza
dubbio posteriore alla trascrizione delle strofe, come dimostra
l'anomala indentatura dei versi iniziali. In pratica: la prima
redazione del canto - precedente all'aggiunta dei numeri e della
sesta strofa - si sarebbe chiusa con a me la vita è male;
insoddisfatto per questo finale troppo duro ed esplicito, l'autore
ne avrebbe cercato un altro nell'àmbito dei versi già trascritti,
optando per lo spostamento in coda della strofa "O greggia mia"
e riordinando in tale frangente le cinque strofe. Ma l'adozione
di un finale interrogativo (Me, s'io giaccio in riposo, il
tedio assale?), pur confortata da numerosi esempi petrarcheschi,
creava una nuova 'crisi', alimentata anche dal bisogno di trascendere
il piano strettamente soggettivo e di tendere ad un'astrazione
universalizzante: così, traendo forse ancora spunto dalla descrizione
del nomadismo dei Kirghisi ("... font consister leur félicité
à se voir libres comme des oiseaux ...", alla p.517 del "Journal"),
Leopardi avrebbe dato vita all'ultimo "movimento" - secondo la
terminologia continiana - e, con esso, alla terza e definitiva
redazione del canto.
Si segnala, per concludere, che al v. 35 Abisso orrido, immenso
- prima depennato in uno con Fossa capace, oscura - è stato
ripristinato nell'interlinea dalla mano del Ranieri: forse la
registrazione a posteriori di un successivo intervento in bozze.
Al pari delle altre liriche appartenenti al cosiddetto ciclo pisano-recanatese,
il Canto notturno approda alle stampe nell'edizione fiorentina
del '31, dove segue Le ricordanze e, con una lieve infrazione
cronologica, è anteposto alla coppia di apologhi Quiete/Sabato:
segna così un distacco, osserva il Savoca, mediato dalla 'maschera'
del pastore, dai temi apertamente autobiografici di A Silvia
e Le ricordanze, e un passaggio ad una lirica oggettiva,
ad una chiusa impersonale.
M.A.