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Percorsi bibliografici | Il caso Fienga: le testimonianze di una vita straordinaria
torna alla pagina parte I: Il caso Fienga

Dino Fienga, Francisco "el Pobrecillo de Asis" (copertina)

Il caso Fienga: le testimonianze di una vita straordinaria

parte II:
Dagli scritti di
Dino Fienga


La battaglia di Madrid

«Una fila di camions entra da “Las ventas del Espirtu y Santo”; li occupano soldati bene armati che parlano lingue straniere. Chi sono? Il grido che lanciano di quando in quando è la loro risposta: U.H.P. (u.acce. pè). Sono “los hermanos proletarios” venuti a difendere Madrid, faro della libertà, che ha ormai superato i suoi tre giorni di solitudine. Sono il fiore dell’antifascismo mondiale […] Sono 3500 leoni – così verranno chiamati più tardi – che vanno ad affrontare, poche ore dopo il loro arrivo, i mori ed il Tercio a Casa de Campo, al Parco dell’Ovest, alla Città Universitaria […] Arrivarono a Madrid nell’ora decisiva, mentre il nemico bussava alle sue porte con furia implacabile; sfilarono per le strade della città in pericolo, fra l’amore e l’entusiasmo del popolo madrileno. Da dove venivano? Da tutti gli angoli d’Europa: polacchi, tedeschi, francesi, austriaci…; lasciamo la parola a Zugazagoitia, che fu testimone oculare di quell’ora (e fu poi fucilato dai falangisti). Ribelli – egli commenta – espulsi dalla loro patria, lavoratori senza nazionalità, uomini dal passato pieno di dolore e dall’avvenire incerto. Gente tutta d’un pezzo, dalle braccia robuste, dal cuore senza paura. Tremila cinquecento fucili. Si sparpagliarono per la Casa de Campo e la Città Universitaria. La guerra li accolse con tutta la sua pirotecnica mortale. Dopo qualche ora il loro numero era già diminuito. Era il prezzo d’ingresso: una dozzina di morti. Non si turbarono: erano venuti a Madrid proprio per questo: a farsi uccidere per difenderla. Sapevano solo una cosa: che la Capitale aveva bisogno di loro. La loro presenza nelle posizioni minacciate ravvivò la passione dei madrileni. Era dunque vero che arrivavano i rinforzi? Il miliziano si fece insolente con la morte e tornò a disprezzarla; però i suoi nuovi compagni, chiusi per l’esperienza e la disciplina nella loro condizione di soldati, gli risultavano strani. Si interponevano violentemente quando il miliziano si spingeva un po’ troppo. Gl’insegnarono precauzioni e difese elementari e la maniera di combattere con maggiore efficacia. Il miliziano imparava. Si faceva soldato, senza accorgersene, ogni internazionale diventò un maestro» (da D. Fienga, La settimana portentosa della difesa di Madrid. Con presentazione del generale José Miaja, Chicago, E. Clemente & Sons, 1954, pp. 31-32)*.

*La battaglia per la difesa di Madrid, iniziata il 18 luglio 1936, si protrasse per nove mesi (quella di Guadalajara si combatté nel marzo del 1937) e gli eventi che descrive Fienga sono quelli cruciali svoltisi tra il 6 ed il 12 novembre quando le truppe di Franco, che avevano investito Madrid con grande decisione, trovarono una resistenza inaspettata, il cui nerbo era costituito dai reparti di miliziani, accorsi con entusiasmo ma male armati e non bene organizzati, e dagli «internazionali»; fu soprattutto la Città Universitaria, alla periferia di Madrid, ad essere contesa a lungo. È interessante notare come il giudizio di Fienga su questi eventi sia diverso da quello di altri protagonisti. Se Fienga da una parte sottolinea l’atteggiamento incerto e talvolta ambiguo del governo, che si ritira a Barcellona ed affida la capitale ad una “junta de defensa”, nominando a presiederla il generale Miaja, quasi una vittima predestinata alla sconfitta, d’altro canto egli rivaluta proprio questa figura, sottolineando quale importanza avessero avuto le sue doti umane nel tenere compatto il fronte.


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Libertà senza giustizia e giustizia senza libertà

Fuori d’ogni partito (infastidito dalla partitocrazia) pur non misconoscendo l’apporto dei partiti al gioco democratico, sono sempre per inseguire il sogno di giustizia e libertà della giovinezza.
Dare concretezza alla libertà: ecco mi sembra il problema centrale del nostro tempo, il cui dramma è libertà senza giustizia o giustizia senza libertà, mentre libertà e giustizia sociale per essere poli dello stesso concetto sono interdipendenti. La nostra – la mia e quella di tanti altri vecchi militanti – non fu adesione ad alcune formule che come i versetti d’un Corano fossero suscettibili di guarire i mali da cui è afflitta una parte cospicua del genere umano, ma ricerca, anche a prezzo di gravosi sacrifizi, dei mezzi più idonei e con maggiore sollecitudine atti ad assicurare alla progenie d’Adamo una più equa giustizia, una più ampia libertà, in una parola una vita più umana. Ebbene a che assistiamo? Che tutte le speranze crollano e la più ferrea disciplina è imposta all’uomo nella sesta parte del mondo, fino a ridurlo, e sempre più con carattere permanente, a un robot - quanto si vuole perfezionato – fino a realizzare un impossessamento totale della personalità umana, di fronte a cui diventa cento volte più sopportabile il nostro mondo con tutte le sue mostruose ingiustizie e le sue contradizioni economiche. La morte dello spirito – questo bene supremo dell’uomo – è la più irreparabile e grave, anche se la massa, oppressa dalle necessità quotidiane, stenta a rendersene conto. Di fronte a tanto, siamo noi ‘i rinnegati’ o è il dio che ha fallito la sua missione, deludendo la nostra speranza? Al congresso di Berlino «per la libertà della cultura» ci si è chiesto di essere a fianco «di tutti gli uomini decisi a difendere la libertà di cui godono, a riguadagnare quella di cui sono stati privati e a conquistarne ancora altre nuove più ampie». Ebbene questo è stato sempre il mio posto nella lotta per la difesa dei valori umani; questo è stato per me il socialismo  «grido di dolore ed alcune volte di collera…e anzitutto passione che s’afferma» (Durkheim); per questo la rivolta a cui mi spinse nell’infanzia l’assistere a un atto di brutalità; questo il motivo per cui mi esiliai col fisico dall’Italia dei fasci per restare con lo spirito nell’Italia eterna; per cui più che quarantenne mi feci volontario in Spagna e tale, con basi spirituali, resta ancora […]
E se mi affanno ancora è per salvare, o io m’illudo, appunto l’uomo in me e nei miei fratelli, l’uomo vivente e non l’umanità astrazione; perché l’uomo immagine e somiglianza del Nazareno non perisca.» (D. Fienga, Noi «i rinnegati» del dio che à fallito, Napoli, La Meridionale, 1951, pp. 41-44).


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Dagli studi di biblioteconomia

La biblioteconomia come scienza dell'informazione

… la conoscenza o meglio il nostro ambiente bibliografico ufficiale – sia detto senza malanimo – è in genere arretrato di un cinquantennio o quasi, su quello che è l’indirizzo attuale di questa branca delle nostre conoscenze. Il difetto non è di questo o quell’istituto, ma sta, come suol dirsi, nel manico, non è accidentale è costituzionale, non è d’attuazione, è d’indirizzo […] Già, poiché il fatto è che da quando un editore hors ligne, il Formiggini e alcuni altri bibliotecari e bibliofili…modernisti cercarono volgarizzare la bibliografia, s’era già in ritardo. L’Italia con tutti i suoi tesori bibliografici – o forse a causa proprio di essi – era ancora a l’era della biblioteca ‘deposito librario’ e del bibliotecario custos librorum dell’Evo Medio. Presa di lì la rincorsa, era naturale che restasse arretrata e purtroppo […] senza speranza di recupero così continuando […] Eppure la documentazione – amplificazione della bibliografia – è materia di pubblica utilità almeno per chi sappia servirsene con criterio «non prettamente badiale» – direbbe Avanzi – e non abbisogna di superflue dimostrazioni per essere qualificata a buon diritto «fra le più sensibili e necessarie scienze ausiliari del sapere». E la deficienza è tanto più grave che oggi in Italia non fa difetto una ‘mentalità bibliografica’ cioè un interesse nei ceti intellettuali per questi studi nei quali un tempo fummo precursori (Ma son forse in condizioni di dar servizio efficiente le nostre biblioteche?, estr. da «La Riviera», Napoli, 11 ottobre 1951, poi pubbl. in Sofia e la chiave. Noterelle di biblioteconomia, Napoli, Genovese, 1957).

L'automazione nelle biblioteche

Fenomeno tipico della nuova rivoluzione industriale in atto […] è l’automazione o automatizzazione delle fabbriche. A differenza della meccanizzazione, che è stata la caratteristica della precedente rivoluzione industriale, l’automazione ha lo scopo di rendere automatici certi procedimenti di lavoro. Mentre la macchina infatti utilizza la forza motrice in luogo di quella muscolare, l’automazione tocca «il governo della forza motrice» […] E qui è d’uopo aprire una parentesi e chiarire che l’automazione non significa – come spesso ingannati dalla dizione «cervelli elettronici» si crede – sostituzione della macchina all’intelligenza vera e propria […] Da tanto scaturisce naturale la conseguenza che è dell’uomo la programmazione di un certo lavoro in quanto compito dell’intelligenza; fissato questo subentra la esecuzione che può essere compiuta dall’apparato che esegue automaticamente la programmazione […] In conclusione l’automazione è fatta da macchine calcolatrici che trasformano i programmi in telecomandi e telecontrolli i quali agiscono su macchine esecutrici. I dati (informazioni) introdotti attraverso comunicazioni elettroniche governano le singole macchine sganciando i comandi al momento giusto; questo è opera della «memoria» che fa uscire al momento giusto quel dato comando regolato precedentemente e quindi compie un lavoro automatico […] I servo-meccanismi operanti in base al principio del «circuito chiuso» sono un esempio tipico dei «comandi» a cui abbiamo accennato. Il segnale proveniente dal dispositivo sensibile viene messo a confronto con il valore che in realtà si desidera ottenere e la differenza, o errore, viene somministrato  da un dispositivo che corregge la divergenza […] Questi schemi sommariamente abbozzati spiegano, penso, più chiaramente che complicati discorsi, l’imporsi di una nuova organizzazione e valutazione delle attività umane in quanto dai principi esposti e dalle loro applicazioni, si generano problemi che investono tutta la società in modo anche più esteso in certo senso di quelli che nascono dalla stessa energia nucleare […] In America si stampano già giornali con il medesimo testo in più città poste a grande distanza l’una dall’altra. Il sistema si basa sulla composizione automatica telecontrollata: le notizie tracciate su sottili nastri perforati, vengono teletrasmesse in altre città e là automaticamente incise su altri nastri analogamente perforati, vengono sempre automaticamente introdotte in linotipe che funzionano senza l’intervento dell’uomo […] Il fatto generalmente riconosciuto che l’elettronica stia rivoluzionando l’industria, si spiega: le applicazioni elettroniche posseggono l’ineguagliabile capacità di coordinare i più intricati problemi di controllo e di prendere ed ordinare le decisioni logiche. L’elettronica è per tanto il nucleo dell’automazione (da D. Fienga, L’automazione nelle biblioteche, Napoli, Tip. Genovese, 1957, estr. da «La Riviera, a. LVII, n. 9 e 10, 1957, pubbl. in Sofia e la chiave. Noterelle di biblioteconomia, Napoli, Genovese, 1957).


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da «Francisco ‘el pobrecillo de Asis’»

L’origine del francescanesimo

La gente observava, en efecto, que parte del clero praticaba sin pudor la simonía; que a veces altos prelados y poderosos abates, rodeados de notarios, gente de armas, escribas y clérigos vagabundos, se servían del nombre de Dios no para la salvación de las almas, sino de sus proprios intereses temporales, que algunos monasterios ya habían olvidado el verdadero espíritu del cristianismo primitivo […] Non podía faltar la reacción de la conciencia cristiana […] Pasión de pureza, voluntad de renovación, aspiración al apostolado, surgen de esta crisis y esta espera y provocan una fiebre de impaciencia. Abundan así las herejías. Albigenses, patarinos, valdenses y no pocos más a quienes el pequeño artesano que ya se está formando presta fácil oído, vagan a fines del siglo XII y principios del XIII por tierras y castillos de la Europa occidental y central. Rasgos comunes a todos ellos son la predicación, en las plazas, de la pobreza evangélica; la flagelación de las costumbres del clero y las órdenes monásticas; el rechazo de los sacramentos so pretexto de la indignidad de los ministros; la negación de los dogmas y la vida en comunidad. Momentos hay en que estas actividades asumen el carácter de revuelta social, de verdaderas jacqueries de Italia. Detalle significativo: entre los que siguen honrando a la Iglesia de Cristo, se cuentan muchos eremitas errantes (numerosos en el Siglo Décimosegundo), los cuales evocan en el espiritu de las gentes sencillas la imagen del Crucificado, que llevan como a un eremita de amor en la gruta de los corazones. Había asimismo, entre los camaldulelenses, cartujos, volombrosianos, cistercienses y cluniacenses, algunos predicadores de fuego que daban a los púlpitos de las famosas catedrales el aspecto de tribunas catonianas, hasta llegar algunos, como Arnaldo de Brescia, a la heterodoxia […]  […] En este despertar de la vida publica y del espíritu, en el cual se reconosce – como dice Gebhart – el signo de una próxima renovacion religiosa », «nace al mundo» Francisco de Asís […] (D. Fienga, Francisco “el pobrecillo de Asís”, Mexico, Ediciones Coli, 1944, p. 12-17).

Il vangelo della ricchezza e quello della povertà

Movimiento, pues, que no obstante ser strictamente religioso en la expresión y los fines, abraza todos los aspectos de la vida, lo mismo que todos los actos fuertemente sentidos, «en cuya valorización, dados los principios que sostiene, lleva un criterio radicalmente subversivo»: la riqueza non como meta, sino como obstáculo a la meta. El evangelio del mundo era la riqueza amasada con el odio (porque el amor a ella en los pobres está unido al odio a los ricos ; y en los ricos, al desprecio a los pobres); y por eso el Seráfico quiso sustituirlo con el evangelio de la pobreza amasada de amor. Pero ni amor ni paz podián alcanzarse sobre la Tierra si no se extirpaba la raíz de la manía de la posesión y, por consiguiente, del odio entre los hombres, de la concupiscencia, de la vida soberbia. Solidaridad de los poderosos con los humildes, de los felices con los atribulados, de los sabios con los ignorantes, de los inocentes con los culpables fué, pues, la innovación auspiciada por el asisiense; innovación cuya esencia, dice Bonghi, reside en la “vivificación del hombre interno”, por medio de un retorno a la fuente de donde toda actividad intelectual y moral se deriva y desborda (ivi, pp. 234-37).

Francesco d'Assisi come Alter Christus

Verus Christi amor in eandem imaginem transformavit amantem (San Buenaventura). Quién había sabido seguir con tanta sinceridad y entrega tan completa, las enseñanzas de Cristo era muy digno de llevar los estigmas del Resucitado; aquéllos que al apóstol Tomás dieron la certeza de que realmente se había realizado el prodigio de que acababa de hablar la mujer de Magdala. De este modo el Alter Christus, hecho todo oración, después de haber renunciado a sí mismo (el “semetipsum exinanivit” de San Pablo) en la Plaza de Sta. Maria y armádose caballero de Monna Pobreza, llegaba por fin a la meta terrena de su itinerarium in Deum, en la cual la unión mística se realizaba por medio del amor que se abandona totalmente en brazos de su Creador como en los de embriagadora esposa, y alcanza este estadio de la contemplación: el éxtasis místico, durante el cual la Divinidad se revela a su criatura en un silencio multielocuente y en una luz infinita (ivi, p. 251).


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© Biblioteca Nazionale di Napoli - aprile 2008