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Percorsi bibliografici | I papiri ercolanesi: libri "antiquiores" in biblioteca

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I papiri ercolanesi: libri "antiquiores" in biblioteca

Filodemo, Sulla retorica (PHerc. 1427, cornice 1, col. 4)
Agnese Travaglione
I papiri ercolanesi: libri "antiquiores" in biblioteca

Da: La Biblioteca Nazionale di Napoli. Memoria e orizzonti virtuali. Napoli, 1997

Trasferita alle dipendenze della Biblioteca Nazionale di Napoli con la legge n. 392 del 1910, l’Officina dei Papiri Ercolanesi si è integrata naturalmente nell’Istituto come una delle sue sezioni più prestigiose. Pur conservando la propria fisionomia di laboratorio di ricerca riservato ad un pubblico specializzato, essa ha nel corso degli anni affiancato alle tradizionali attività di studio e di conservazione  compiti di carattere didattico-espositivo e di assistenza o anche catalografici e di ricerca bibliografica propri del servizio al pubblico.  L’interesse per il patrimonio di conoscenze contenuto negli antichi volumina ha fatto registrare come naturale conseguenza il progressivo aumento degli studiosi impegnati nella lettura autoptica dei testi; mentre l’opera di valorizzazione dei propri fondi, da sempre perseguita dalla Biblioteca, ha consentito, nei limiti imposti dalla natura particolarissima del materiale papiraceo, la fruizione da parte di un pubblico più ampio e più vario. La piccola esposizione permanente allestita in una delle sale riservate ai papiri permette, ad esempio, di ripercorrere i momenti salienti della loro storia sotto la guida di un bibliotecario addetto al settore; a sua volta, la raccolta libraria in continuo incremento dà libero accesso alla sala di studio a tutti gli utenti della biblioteca.
E’ solo dalla differente tipologia dei fondi librari e documentari - al libro dell’antichità si affiancano la documentazione manoscritta dei secoli XVIII-XX e la raccolta delle pubblicazioni apparse dalla fine del XVIII secolo ad oggi - che consegue una diversificata fruizione del materiale. Precisi motivi di tutela impongono maggiore cautela riguardo ai papiri per i quali l’autorizzazione allo studio è rilasciata dal direttore della biblioteca o dal funzionario responsabile della sezione, dopo avere verificato l’identità e gli intenti del richiedente; pertanto è richiesta a chi per la prima volta accede alla loro consultazione una lettera di presentazione da parte di uno studioso o di un organismo accademico e culturale che abbia specifica competenza. Ovviamente, per il materiale documentario valgono le medesime norme che regolano la consultazione dei manoscritti.


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I papiri
I papiri di Ercolano costituiscono il fondo librario più antico posseduto dalle biblioteche italiane e straniere. Il fatto stesso che sia stato a noi restituito, a seguito degli scavi cui Carlo di Borbone diede avvio nel 1738, da una villa romana sorta in età repubblicana a nord-ovest dell’antica Ercolano, ne sottolinea l’importanza con immediata evidenza: si tratta, precisamente, dell’unica biblioteca dell’antichità pervenuta fino a noi, seppure non nella sua completezza e in parte deteriorata dall’eruzione vesuviana del 79 d.C.
Sottoposti ad una temperatura elevatissima, compresa secondo le più recenti indagini tra i 300 e i 320°C, e sepolti sotto una coltre di materiale vulcanico ad una profondità di circa 25 metri, i rotoli ercolanesi hanno subìto un processo di combustione parziale al quale dobbiamo la loro conservazione. Proprio lo stato di carbonizzazione, rendendoli simili a pezzi di legno bruciato, ha d’altra parte conferito alla materia estrema friabilità, col rischio di sfaldamenti e di perdite irreparabili, ed ancora oggi influisce sulla fruibilità e sulla conservazione dell’antica biblioteca. Per tale ragione lo svolgimento dei nostri papiri, così come la possibilità che essi forniscono di studiare e curare l’edizione di testi non pervenuti attraverso la tradizione manoscritta degli scriptoria medievali, hanno del prodigioso per quanti per la prima volta si accostano ad un patrimonio tanto peculiare; dalle domande del pubblico che sempre più frequentemente visita la sezione trapelano una curiosità e, talora, un’emozione che ci autorizzano a soffermarci sulla storia della raccolta.
Si ritiene che la biblioteca sia sorta ad opera del filosofo Filodemo di Gadara (110-30 a.C. ca.), il quale, portando probabilmente con sé dalla Grecia un nutrito gruppo di manoscritti con i testi di Epicuro e dei suoi seguaci, avrebbe dato vita nella villa di Ercolano ad uno dei centri di diffusione delle dottrine epicuree  nella società romana. Filodemo, autore per altro di eleganti epigrammi a noi noti attraverso l’Antologia Palatina, fu apprezzato dai contemporanei come uomo di talento, ricco di interessi estesi anche a campi, tra cui quello della poesia, in genere non tenuti dagli epicurei in grande considerazione. Amico dei maggiori poeti dell’età augustea, influì con le sue teorie sulla loro poetica e con essi fu certo impegnato in conversazioni di carattere etico-filosofico: a Virgilio, a Plozio Tucca, a Lucio Vario Rufo e a Quintilio Varo dedicò infatti alcuni libri dell’opera Sui vizi e sulle virtù; ad Orazio furono sicuramente note le sue opere; e Lucrezio può verosimilmente essere annoverato tra i suoi interlocutori. Certo Lucrezio è tra gli autori presenti nella biblioteca filodemea.
La raccolta registrò, ad ogni modo, un incremento anche dopo la morte di Filodemo. Lo dimostra, tra gli altri, il più noto dei papiri latini, il PHerc. 817, contenente il De bello actiaco la cui paternità è stata di recente restituita a Lucio Vario Rufo e per il quale termine post quem è il 31 a.C., anno della sconfitta di Antonio e Cleopatra.
Al pensiero e all’opera di Filodemo sembra ispirarsi il programma decorativo della villa, adorna di pitture e statue di cui restano presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli diversi e preziosi esemplari. Il richiamo alla filosofia epicurea spiega la presenza tra questi dei busti di Epicuro, del suo successore nella guida del Giardino, Ermarco di Mitilene, e di Metrodoro di Lampsaco, entrambi, insieme con Polieno, collaboratori di Epicuro nell’impostazione della dottrina. Committente del progetto e probabile proprietario della villa sarebbe stato, secondo la tesi più accreditata, Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, console nel 58 a.C., protettore di Filodemo ed avversario di Cicerone. Proprio in base a questa attribuzione la villa è nota non solo come ‘Villa dei Papiri’ ma anche come ‘Villa dei Pisoni’.
Il suo scavo, iniziato nel 1750, fu interrotto nel 1761 a causa delle esalazioni di gas venefici del sottosuolo e della falda freatica; i cunicoli furono allora interrati senza che la villa fosse stata esplorata completamente. Quanti fossero i papiri in essa rinvenuti in diversi luoghi e in diversi momenti, tra l’ottobre del 1752 e l’agosto del 1754, non è a noi noto. Secondo una stima approssimativa, basata sull’esame delle fonti documentarie e delle testimonianza coeve, il loro numero si aggirerebbe intorno alle 1100 unità; quel che è certo è che il ritrovamento più consistente avvenne nel 1754, allorché in prossimità del peristilio quadrato fu scoperta una stanza lungo le cui pareti correva una teoria di scansie lignee ed al centro della quale si trovava uno scaffale o tavolo che poteva servire di appoggio per la scrittura. Sembra che questa stanza costituisse il deposito o, forse, uno dei depositi dei libri e che lo studio e la discussione avvenissero nell’area del tablino, dove furono rinvenuti papiri in stipo, ammucchiati a terra ed anche riposti in una capsa libraria cilindrica. Il fatto, poi, che la maggior parte dei volumina fossero in lingua greca ha fatto ritenere che i manoscritti latini e i manoscritti greci fossero conservati in stanze diverse, come d’altra parte era uso presso le biblioteche dell’antichità. Di qui la speranza dell’esistenza di altri, numerosi, papiri in quella villa il cui scavo è ripreso già da alcuni anni e che in questi ultimi mesi ha fatto registrare scoperte di rilievo che confortano la ‘certezza’ di ritrovamenti da parte di chi si è battuto per la sua ripresa.
Oggi il numero inventariale supera i 1800 pezzi, ma esso include rotoli interi o parzialmente conservati, magari spezzatisi nel tempo in più parti, papiri svolti le cui diverse porzioni sono talora registrate con numeri differenti, ed anche rotoli non più esistenti in sede. Significativo è il caso dei diciotto volumina, che insieme ad alcune parti di due papiri già svolti, furono donati da Ferdinando IV al principe di Galles, il futuro Giorgio IV, tra il 1802 e il 1816. Gran parte di essi andò perduta in tentativi di svolgimento: ben sette furono distrutti dal tedesco Sickler che, nel 1817, ottenne di sperimentare un suo metodo con una macchina simile a quella del Piaggio ma con un procedimento che si rivelò disastroso. La notizia alquanto singolare, riferita dal Colletta, dello scambio effettuato con la corona inglese di diciotto papiri non svolti con altrettanti canguri destinati alla Floridiana è una spia di quell’atteggiamento di gelosa privativa che caratterizzò il rapporto dei sovrani napoletani con i reperti ercolanesi. 
Trasportati, dopo il ritrovamento, a Portici ove si veniva organizzando il Museo Ercolanese proprio con gli oggetti venuti alla luce dallo scavo delle città vesuviane, i rotoli furono sottoposti ai primi infelici tentativi di apertura, nel corso dei quali si utilizzarono soluzioni di vario genere, glutinose, idroalcoliche, dissolventi, al fine di restituire elasticità alla materia carbonizzata.
Il direttore del museo, Camillo Paderni,  a cui sembra si debba attribuire il merito di avere per primo compreso di essere in presenza di antichi manoscritti, ha legato il proprio nome al metodo cosiddetto della ‘scorzatura’, consistente in due tagli longitudinali, paralleli, per i quali il rotolo era diviso in due semicilindri; questi venivano poi svuotati della parte centrale - il midollo - fino a raggiungere la superficie più estesa di scrittura. Del rotolo si salvava dunque la parte esterna, detta per l’appunto ‘scorza’, del testo sopravvivevano solo alcune parole o lettere isolate, poco più di un saggio paleografico dell’antica scrittura. Fortunatamente, ben presto il Paderni sostituì alla scorzatura totale quella parziale, che mirava con due o più incisioni parallele, le prime longitudinali, le seconde orizzontali, a liberare il midollo dalle scorze esterne. Risultato di questa operazione, effettuata anche in seguito al fine di consentire lo srotolamento del midollo dopo averlo liberato dalle incrostazioni esterne, è stata la divisione di un unico manoscritto in più parti, non sempre a noi conservate e delle quali si è spesso persa la nozione dell’originaria provenienza. Di qui, come prima conseguenza, uno dei motivi della crescita numerica della raccolta; come seconda, la necessità per il papirologo ercolanese di individuare le diverse parti, eventualmente esistenti, di un medesimo rotolo e ripristinarne l’esatta successione.
In tentativi non riusciti si cimentarono noti e vari personaggi. Il principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, ad esempio, trattò con il mercurio tre o quattro rotoli di papiro, nella persuasione che la capacità di penetrazione del metallo potesse favorire il distacco dei fogli; e ne determinò invece la perdita completa. Il filologo Alessio Simmaco Mazzocchi, a sua volta, espose un rotolo di papiro ai raggi del sole sotto una campana di vetro, provocando in tale modo la scomparsa della scrittura.
Decisivo per le sorti della raccolta fu l’arrivo a Portici, nel 1753, del padre scolopio Antonio Piaggio (1713-1796). Già ‘custode delle miniature e scrittore latino’  presso la Biblioteca Vaticana, il Piaggio si era distinto per le sue spiccate attitudini per le arti meccaniche e grafiche ed aveva inoltre acquisito una reale competenza nel settore del restauro del materiale antico. A lui si deve la messa a punto del sistema di svolgimento rimasto in uso fino al 1906, fondato essenzialmente sull’utilizzazione di una colla a base di sostanze naturali sia per facilitare il distacco sia per fissare i pezzi svolti su tela o su pellicola di battiloro, ottenuta dalla vescica di porco o di pecora, oltre che di un ‘mobile di trazione’ di cui presso la nostra sezione si conserva un esemplare ottocentesco. Come si adoperasse la macchina del Piaggio è noto dalle descrizioni dei contemporanei e degli addetti allo svolgimento presso l’Officina, ed in particolare del celebre Winckelmann, ospite ed amico dello scolopio. La macchina aveva la funzione di tenere in trazione il foglio di papiro che con pazienza certosina, con pinze, bisturi, specilli, si veniva staccando dal rotolo, dopo aver applicato la pellicola di battiloro sulla parte da sollevare. Le difficoltà da superare erano notevoli ed il testo recuperato, ineluttabilmente, si presentava acefalo e lacunoso in più punti, rendendo necessario il lavoro di interpretazione ed integrazione, che già dalla corte di Napoli fu assegnato ai migliori filologi presenti nel Regno.
Nel 1754, ad appena un anno dal suo arrivo, il Piaggio conseguiva i primi positivi risultati con l’apertura del PHerc. 1497 contenente il quarto libro dell’opera Sulla musica di Filodemo. A lui, direttore dei lavori di svolgimento e di trascrizione facsimilare dei testi, va dunque riconosciuto il merito di avere posto le basi per la nascita della papirologia ercolanese. Ancora oggi i papiri svolti con il suo metodo sono oggetto di studio e di interessanti scoperte.
La nascita dell’Officina in quanto luogo di conservazione e di ricerca presso il quale si compie l’iter delle diverse operazioni propedeutiche all’edizione dei volumina, dallo svolgimento e dalla riproduzione facsimilare alla lettura ed all’interpretazione dei testi, può essere fatta risalire al 1755, anno in cui, con l’istituzione dell’Accademia Ercolanese, veniva affidato al Mazzocchi il compito di interpretare ed illustrare i manoscritti ercolanesi.
Agli inizi del secolo XIX, dopo il trasferimento dei papiri a Palermo nel dicembre del 1798 e il loro ritorno a Napoli, e poi a Portici, nel dicembre del 1801, si registra per l’Officina un periodo di intensa attività: tra il 1802 e il 1806, infatti, furono svolti ben quaranta papiri interamente e settantaquattro parzialmente sotto la direzione di John Hayter, il cappellano inglese inviato a Napoli per la realizzazione del piano che il principe di Galles aveva proposto alla corte napoletana per la ripresa e l’intensificazione dei lavori di svolgimento e di edizione.


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Nel 1806 è ordinato il trasporto dei papiri a Napoli nel Palazzo degli Studi, destinato ad accogliere le reali collezioni. Per tutto il secolo continuano i lavori di svolgimento, anche se con un ritmo sempre meno intenso a causa delle condizioni del materiale, e si provano nuovi metodi ma senza esito positivo. Si intensifica d’altra parte l’attività editoriale in cui sono impegnati noti grecisti, tra i quali ricordiamo Carlo Maria Rosini, curatore del primo volume della Collectio prior dedicato al già citato PHerc. 1497, oltre che Bernardo Quaranta e Salvatore Cirillo, entrambi bibliotecari della Borbonica. Né si trascura di provvedere ad una più idonea conservazione dei papiri, si costruiscono armadi a vetri per la custodia dei rotoli non aperti e si acquistano cornici per i papiri svolti, in modo che gli uni  e gli altri siano protetti dall’azione nociva della polvere e della luce.
In quest’opera di tutela del fondo ercolanese si distinse in particolar modo, agli inizi del nostro secolo, Domenico Bassi al quale si deve la decisione di collocare le cornici, fino ad allora appese alle pareti, in armadi a cassetti mobili di modo che ogni cornice potesse essere estratta singolarmente. Sotto la sua direzione si verifica un evento importante nella storia dell’Officina che, dopo l’Unità, aveva perso la propria autonomia passando alle dipendenze del Museo: la ricordata legge del 1910 ne determina il trasferimento alla Biblioteca Nazionale, che da quel momento pone tra i propri compiti precipui la tutela e la valorizzazione del prezioso materiale, del quale era stata con quel provvedimento riconosciuta la natura specifica di ‘libri’ da salvaguardare e da consultare nella sede più idonea.
Alle cure del Bassi è affidato nel 1924 il trasporto dei papiri nella nuova sede della Biblioteca, in Palazzo Reale, dove, dopo un primo temporaneo allogamento nelle sale dell’ala meridionale del primo piano - sale di cui la biblioteca fu presto privata - l’Officina fu ubicata al piano terra e solo nel 1828-29 ottenne due sale al secondo piano nell’area prospiciente i giardini dal lato del Teatro di S. Carlo, dove attualmente ha sede.
Tra le opere di ricostruzione del secondo dopoguerra si registrano i lavori eseguiti per le sale del lato nord e nord-est, tra i quali quelli, di maggiore entità, per l’Officina dei papiri cui fu riservato un salone di lettura con copertura in vetrocemento, rispondente alle esigenze di particolare luminosità avvertite dagli studiosi per la lettura del materiale papiraceo. La luce, investendo dall’alto la superficie brunastra del papiro, fa infatti risaltare l’inchiostro ed agevola la lettura.
La copertura in vetrocemento è stata dopo qualche decennio sostituita con un soffitto in plexiglas, provvisto di tre grandi finestroni per l’areazione dell’ambiente. Di notevole ausilio sono risultati pure i microscopi binoculari, dotati di illuminatori alogeni e ad anello fluorescente, adottati in sezione negli ultimi anni. Considerata la loro efficacia, si spera di potere ricorrere ad un impianto di luce artificiale che possa sostituire la volta in plexiglas, annullando quei disagi che da essa purtroppo derivano, in primo luogo le condizioni climatiche che in inverno ed in estate rendono poco confortevole una lunga permanenza nella sala di lettura.
Gli studi di papirologia ercolanese, il cui sviluppo non ha subìto dalla fine dell’Ottocento, con la grande fioritura della scuola tedesca, ad oggi significative interruzioni, hanno evidenziato con crescente consapevolezza quanto sia rilevante il contributo della scoperta ercolanese per la nostra conoscenza del mondo greco. Basti a questo proposito qualche considerazione sui contenuti della biblioteca, formata da testi trascritti tra il III-II secolo a.C. ed il I d.C. ma composti a partire dal IV secolo a.C.
La presenza, in diversi esemplari, dell’opera cardine di Epicuro è già di per sé sufficientemente esemplificativa: i papiri ercolanesi, restituendoci sette libri certi ed altri incerti del trattato Della natura, che dalla biografia di Diogene Laerzio sapevamo articolato in trentasette libri, costituiscono infatti per noi l’unico tramite della tradizione diretta. La stessa osservazione può essere ripetuta per gli altri autori della biblioteca. Nessuna opera era giunta a noi di Demetrio Lacone, le cui qualità di filosofo e di filologo emergono attraverso la discussione di problemi di geometria, di astronomia, di teologia, di poesia ed infine attraverso lo studio delle edizioni epicuree; né possedevamo alcuna notizia su Carneisco, autore del Filista i cui frammenti superstiti sviluppano il tema dell’amicizia, valore fondamentale per il saggio epicureo. Poco più di un nome sarebbe per noi rimasto anche Polistrato, terzo scolarca dopo Epicuro ed Ermarco, e del quale i papiri ci restituiscono il trattato Sul disprezzo irrazionale delle opinioni popolari, oltre che frammenti di un’opera sulla filosofia.
Tra gli altri spicca per consistenza ed importanza il corpus delle opere filodemee, tutte ignote alla tradizione medievale, composte naturalmente nel I secolo a.C. ed appartenenti al secondo dei tre nuclei in cui può dividersi l’intero fondo in base all’epoca di scrittura. Dei titoli di oltre sessanta differenti opere, leggibili in posizione finale - ricordiamo che la parte iniziale del testo è andata perduta - o congetturati,  trentanove sono di Filodemo, autore di una trilogia - Sulla musica, Sulla retorica, Sulla poetica - che rappresenta il superamento delle posizioni epicuree di rifiuto delle arti liberali; di un manuale di carattere storiografico in dieci libri - Rassegna dei filosofi - con il quale presenta le dottrine epicuree alla società romana inserendole nel contesto del confronto e della discussione sul pensiero delle diverse scuole filosofiche; di trattati di etica, di teologia, di gnoseologia. Una testimonianza imponente del pensiero antico, resa ancora più preziosa dalla sistematicità con cui Filodemo fornisce prima una panoramica delle differenti posizioni e le confuta poi con il supporto della citazione di brani spesso per noi inediti. In tal modo i rotoli di Ercolano diventano tramite di tradizione indiretta per gli scritti di vari rappresentanti dell’età ellenistica e per questo motivo su di essi converge oggi l’interesse di studiosi impegnati nei diversi settori della ricerca umanistica. Il trattato Sulla poetica viene segnalato pure nell’ambito degli studi per la comprensione della tradizione grammaticale ellenistica,  ed in particolare della teoria sull’eufonia di Cratete di Mallo, seguace dello stoicismo e fondatore della scuola di Pergamo, il quale insegnò a Roma dove fu costretto a fermarsi, nel 168 a.C., a causa di una frattura alla gamba.
Testi di Colote di Lampsaco, allievo dello stesso Epicuro, di Metrodoro di Lampsaco, e degli altri filosofi epicurei già ricordati, appartengono al nucleo più recente della collezione formatosi tra il I secolo a.C. ed il I d.C. Le opere dello stoico Crisippo sono, infine, una prova evidente del fatto che la raccolta non comprendesse esclusivamente testi di scuola epicurea.
L’importanza dei papiri non è però limitata al solo aspetto contenutistico. Essi forniscono, infatti, informazioni anche sulla manifattura del volumen e sulla produzione libraria dell’antichità e sono oggetto di indagine paleografica sia per il settore greco che per quello latino. Gli studi recenti hanno sottolineato l’importanza dei papiri latini, da sempre noti documenti della scrittura capitale antica: attraverso di essi  è possibile seguire la libraria romana nella sua evoluzione dal tipo ancora irregolare del I secolo a.C. (Early Roman) alla scrittura semplice ed elegante del I secolo d.C. (Classical Capital) attraverso la capitale di transizione sviluppatasi dopo il 31 a.C. (Pre-Classical Capital).
Inoltre la tecnica della microfotografia, fornendo riproduzioni ingrandite di piccole porzioni di testo, ha dato risultati davvero mirabili, evidenziando talora lettere e segni diacritici non rilevati neppure dalla lettura al microscopio. Congiunta con l’utilizzo di procedure informatiche ha, per di più, consentito di segnalare la presenza di nuovi testi in papiri latini precedentemente catalogati come illeggibili. La scoperta della presenza di Lucrezio, di Ennio, di Cecilio Stazio, autore di commedie di ispirazione menandrea, attesta che la biblioteca latina, a carattere letterario, era più varia di quella greca e,  pertanto, non meno priva di interesse.
Alla luce delle nostre attuali conoscenze si contano sessantadue papiri latini. Il loro stato di conservazione davvero pessimo, da attribuire probabilmente al metodo di rifinitura cui la carta era sottoposta a Roma, spiega la minore attenzione ad essi riservata nel passato.
Non è possibile fare riferimento al presente fervore di studi ed alla nuova metodologia di ricerca senza ricordare almeno alcuni insigni studiosi, tra i quali in primo luogo Marcello Gigante, alla cui iniziativa si deve la nascita nel 1969 del Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi (C.I.S.P.E.), che pone tra le proprie finalità programmatiche il coordinamento delle attività editoriali e collabora con la Nazionale di Napoli nell’opera di valorizzazione del fondo ercolanese; ed inoltre Knut Kleve, al quale si deve la rivalutazione dei papiri latini, e che insieme a Brynjulf Fosse ed a Fredrik C. Störmer ha messo a punto il metodo di apertura dei rotoli non svolti, detto ‘metodo osloense’. Dopo le prime prove seguite nel 1983 con l’autorizzazione dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro, l’organo del Ministero dei Beni Culturali preposto alla tutela del patrimonio librario, l’équipe norvegese ha operato presso l’Officina in due sessioni annuali di lavoro, dedicate all’apertura dei rotoli ed alla microfotografia dei papiri latini e di quelli svolti con la nuova tecnica, con la collaborazione anche del personale di questa Biblioteca. Per l’apertura del rotolo si utilizza una colla di gelatina ed acido acetico in proporzioni variabili in rapporto al grado di carbonizzazione del papiro. Le varie fasi dell’operazione sono accompagnate da riprese fotografiche che documentano la posizione originaria del pezzo da staccare: su di esso viene spalmato uno strato di colla che, asciugandosi, conferisce alla materia carbonizzata una certa consistenza; con una pinzetta metallica si procede, poi, a sollevare il foglio che viene incollato con la medesima colla su un pezzo di carta giapponese. Su quest’ultimo si segna il numero del papiro, la data del trattamento ed il nome dell’operatore.
I risultati più rilevanti sono stati ottenuti con due papiri donati da Ferdinando IV a Napoleone Bonaparte nel 1802, i cosiddetti PHerc. Paris 1 e Paris 2. Conservati a Parigi dalla Bibliothèque de l’Institut de France, sono stati consegnati in deposito alla Nazionale di Napoli nel settembre del 1985 perché venissero sottoposti a svolgimento. Il Paris 2, in particolare, ha restituito parte di uno scritto di Filodemo a carattere etico, probabilmente dedicato alla calunnia in quanto elemento caratteristico dell’adulazione. Il fatto che nell’ultima colonna l’autore si rivolga a Virgilio ed agli altri poeti augustei a lui vicini è una conferma inequivocabile della presenza del grande poeta nel circolo di Ercolano.
Per lo studio dei papiri indispensabile è la consultazione del Catalogo dei Papiri Ercolanesi (Napoli 1979), edito dal Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi  che su «Cronache Ercolanesi» annualmente dà notizia dei papiri aperti dall’équipe norvegese. E’, inoltre, a disposizione degli studiosi l’indice topografico edito dalla Biblioteca Nazionale nel 1977 - I Papiri ercolanesi -, il cui aggiornamento periodico è reso necessario dai lavori di svolgimento con il metodo osloense.


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Disegni e riproduzioni
Utile sussidio per lo studio dei papiri ercolanesi è la raccolta dei disegni conservati in Officina parte in originale parte in riproduzione fotografica. Si tratta di disegni eseguiti spesso dagli stessi svolgitori, non conoscitori del greco, incaricati di ricopiare fedelmente le lettere e i segni diacritici così come li vedevano, in una sorta di trascrizione facsimilare che desse l’immagine della colonna di scrittura completa delle lacune e degli spazi bianchi. Il lavoro nasceva da una scelta editoriale che interessava tutti i reperti delle città vesuviane, illustrati e riprodotti, uno ad uno, nelle belle incisioni de Le antichità di Ercolano (Napoli 1757-92); analogamente l’edizione degli antichi manoscritti sarebbe stata corredata dalle incisioni delle singole colonne di testo. Oggi i disegni risultano di grande utilità: registrano talora lettere o porzioni di testo non più esistenti o sono l’unica documentazione in nostro possesso per quei frammenti andati distrutti nell’apertura delle scorze. In tal caso, in mancanza cioè di altra testimonianza, e laddove il testo abbia un senso ben definito, alla lezione degli apografi viene attribuito lo stesso valore che a quella degli originali.
Prima dell’incisione il disegno veniva collazionato con l’originale dall’interprete, che curava l’edizione del testo ed al quale spettava apporre il ‘si stampi’ preliminare alla successiva operazione.
Hayter, al suo ritorno in Inghilterra, portò con sé i disegni eseguiti sotto la sua direzione e sotto quella del Piaggio - corrispondenti a più di cento rotoli - per poter continuare a lavorare all’incisione e all’edizione. Fu stabilito che a conclusione dei lavori essi venissero restituiti al sovrano borbonico; sono invece tuttora conservati presso la Bodleian Library di Oxford. Di questa serie, detta degli ‘oxoniensi’ (O), si conserva in Biblioteca la riproduzione fotografica; la definizione ‘disegni napoletani’ (N) contraddistingue invece la serie degli apografi eseguiti dopo Hayter. In essa ritroviamo anche disegni dei papiri svolti fino alla partenza del cappellano inglese, poiché furono rieseguiti a Napoli sotto la direzione del Rosini. Alle due serie si attribuisce un diverso valore: più completi sono considerati gli oxoniensi perché eseguiti subito dopo lo svolgimento e quindi nel momento in cui non si erano ancora verificate possibili perdite di scrittura.
Domenico Bassi è l’autore del catalogo dei disegni napoletani - Papiri ercolanesi disegnati - apparso sulla «Rivista di filologia e di istruzione classica», 41, 1913, pp. 427-64; Walter Scott aveva già pubblicato ad Oxford, nel 1885, il catalogo descrittivo dei disegni oxoniensi Fragmenta Herculanensia.
Al disegno si è fatto ricorso fino al 1916. Già nel 1914, a conclusione del discorso avviato dal Comparetti nel secolo precedente ed avente per obiettivo la nascita di una nuova collana basata sulla lettura autoptica dei papiri, l’edizione dei testi di Filodemo Sull’adulazione (PHerc. 1457) e Sulla morte (PHerc. 1050) veniva corredata di fotocollografie, per le quali si utilizzano raggi ultravioletti.
Dei papiri svolti con il metodo Piaggio si conserva pure la documentazione fotografica prodotta, negli anni 1971-1972, dal Gabinetto fotografico nazionale che, per evitare riflessi, adoperò un’illuminazione intensa ma diffusa.
In questi ultimi anni la fototeca ercolanese si è andata arricchendo delle riproduzioni in microfotografia dei papiri svolti con il metodo osloense e dei duplicati consegnati dagli studiosi che facciano richiesta di riproduzione.


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Archivio dell’Officina dei Papiri
“Le carte dell’archivio sono pagine della storia dell’Officina; le illustrazioni dei Papiri sono il complemento dei disegni...”: questo è il motivo per cui l’Archivio dell’Officina dei Papiri (AOP) fu annoverato, nel verbale di consegna del 1910, tra i documenti ritenuti indispensabili al funzionamento scientifico dell’Officina stessa e pertanto trasferito alla Nazionale. Ad essa vennero consegnati, precisamente, i documenti compresi tra il 1756 e il 1860, del periodo cioè in cui l’Officina aveva goduto piena autonomia, oltre che il registro e la pandetta delle carte presso di essa conservate dal 1781 al 1853, e gli inventari dei papiri, dei disegni e dei rami. L’altro nucleo, quello delle illustrazioni inedite degli accademici ercolanesi, conteneva pure copie rivedute di parecchi disegni ed esemplari di pagine degli ultimi volumi della Collectio altera.
Al fondo originario sono state accorpate, al momento dei lavori di riordino e di inventariazione, eseguiti in Biblioteca agli inizi degli anni ’80, carte datate tra il 1860 ed il 1910, ma sia per questo periodo che per il successivo occorre far riferimento all’archivio storico della Biblioteca, in particolare per quanto attiene al problema dei locali, agli stanziamenti ed al personale.
L’attività di interpreti, svolgitori, direttori dell’Officina, la storia dell’illustrazione di un testo, la ricerca di misure idonee ad una migliore conservazione dei rotoli, le problematiche relative alla riproduzione fotografica, l'organizzazione dell'Officina sono  alcuni degli argomenti per i quali il nostro archivio offre un sostanzioso contributo. La ricerca, che soprattutto per determinati periodi va integrata con indagini presso altri istituti culturali quali, in primo luogo, l’Archivio di Stato e la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, è facilitata dai preziosi indici dei nomi, degli autori e dei papiri citati, delle serie cronologiche, posti a corredo dell’inventario suddetto.


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La raccolta libraria
Nella Guida illustrata del Museo Nazionale di Napoli del 1907 il Bassi, curatore della sezione dedicata all’Officina dei Papiri Ercolanesi, avvertiva: “Una piccola biblioteca papirologica per uso della direzione dell’Officina e degli studiosi è ora ai suoi inizi”.
La raccolta libraria della sezione deve dunque la sua origine all’esigenza dello studioso di papirologia ercolanese di disporre degli strumenti bibliografici - edizioni dei testi, commenti, repertori, dizionari etc. - indispensabili nel corso dei lavori ecdotici. Il suo successivo incremento ha però tenuto conto di una più ampia gamma di interessi, in base alla quale risultano rappresentate anche altre collezioni papirologiche esistenti nella biblioteche italiane e straniere, oltre che la letteratura afferente a questo settore come gli studi sulla pianta di papiro, i manuali di papirologia o di paleografia, gli studi sulla tecnica editoriale antica.
La raccolta si presenta oggi articolata in vari settori, contrassegnati ognuno dalla dicitura “Off. Pap.” e da una lettera maiuscola dell’alfabeto, cui segue il numero di catena. La lettera “A” individua gli studi ercolanesi, la “B” le pubblicazioni papirologiche in genere e le edizioni delle varie raccolte di papiri latini e greci, la “C” riguarda i papiri egiziani, la “D” comprende dizionari e repertori.
In particolare la prima sezione consente di seguire la storia ecdotica dei manoscritti ercolanesi a partire dall’edizione della Musica di Filodemo del 1793. E’ questo il primo volume della collezione Herculanensium voluminum quae supersunt - la cosiddetta Collectio prior - nella quale tra il 1793 e il 1855 furono editi diciannove papiri: undici volumi in-folio che a fronte dell’incisione di ciascun disegno presentano il testo integrato in rosso e la traduzione latina. Diversa è l’impostazione della Collectio altera (Herculanensium voluminum quae supersunt, Neapoli 1862-76) in cui le incisioni dei disegni di centosettantasei papiri sono edite senza commento e trascrizione: è grazie a questa collezione che i papiri di Ercolano diventano patrimonio comune a tutto il mondo accademico. Alla diffusione della papirologia ercolanese contribuisce pure il catalogo dei disegni oxoniensi del 1885, presente nella nostra raccolta così come l’edizione degli oxoniensi di sette papiri apparsa a Londra nel 1824-25 (Herculanensium voluminum pars prima - pars secunda). Corredato di fotocollografie è invece l’unico volume della Collectio tertia (Milano 1914).
Accanto alle edizioni citate troviamo collocate alla lettera “A” i lavori di numerosi filologi di fama internazionale, tra i quali ci limitiamo a ricordare quelli oramai classici del Gomperz, Usener, Crönert, Jensen, Sudhaus, e naturalmente la pubblicazione ben nota di Domenico Comparetti e Giulio De Petra La Villa ercolanese dei Pisoni (Napoli 1883), che rappresenta il primo inquadramento completo delle conoscenze possedute in merito alla villa dei papiri e che è da considerare tuttora un punto fermo da cui partire per la storia dello scavo e del ritrovamento dei nostri volumina.
Tra gli studi più recenti non è possibile tralasciare in questa sintetica esposizione quelli apparsi ne La scuola di Epicuro, collana diretta da Marcello Gigante ed edita dal Centro internazionale per lo studio dei Papiri Ercolanesi. Considerata come una Collectio quarta, la collana presenta un impianto editoriale diverso da quello delle precedenti collezioni: il testo, scritto di continuo e non più distribuito in colonne, è corredato da un ricco apparato di note critiche e dalla traduzione in una lingua moderna. Nei sedici volumi fino ad ora pubblicati (1978-95) si possono individuare i diversi percorsi di ricerca consentiti dai manoscritti di Ercolano. Tradizione diretta e tradizione indiretta si avvicendano attraverso le opere dei filosofi epicurei: agli scritti di Polistrato, Filodemo, Demetrio Lacone, Carneisco si alternano infatti i volumi dedicati ai Katheghemones Ermarco e Polieno, la cui opera è nota solo attraverso la tradizione indiretta e per la cui conoscenza i papiri svolgono un ruolo rilevante. Alle testimonianze sulla vita, sul carattere, sulla fama e sul ruolo dei filosofi seguono i passi ‘citati’ delle opere, certe ed incerte. Non meno interessante è il volume di testimonianze su Socrate, rispetto al quale la critica epicurea testimonia una fase della fortuna del suo pensiero e fornisce elementi per una più precisa messa a fuoco della sua personalità storica.
Il fondo librario si va arricchendo degli studi afferenti al Philodemus Translation Project, che prevede l’edizione in lingua inglese di tutte le opere filodemee e per il quale sono impegnati professori incaricati presso le università europee ed americane. Alla raccolta di contributi Philodemus and poetry. Poetic theory and practice in Lucretius, Philodemus, and Horace (New York - Oxford 1995) ha fatto seguito il volume: Philodemus, On piety, part 1. Critical text with commentary edited by Dirk Obbink (Oxford 1996).
La storia dell’Officina è documentata dai lavori del secolo scorso del De Jorio e del Castrucci, l’uno conservatore dei vasi etruschi del Museo borbonico dal 1811, l’altro lettore dei papiri ercolanesi, ed inoltre dai contributi e dai cataloghi di mostre editi nella serie dei «Quaderni» della Nazionale o anche con il contributo di istituti culturali napoletani.
Interventi sui papiri ercolanesi è possibile ritrovare in volumi collocati alla lettera “B”, quali gli Atti dei Congressi di papirologia, organizzati ogni tre anni dallAssociation Internationale de Papirologues, o le due serie - Papyrologica Lupiensia e Rudiae - edite dal Dipartimento di filologia classica e medievale dell’Università di Lecce. Ma questo settore della raccolta si caratterizza fondamentalmente per le pubblicazioni dedicate alle importanti collezioni del British Museum, della Nationalbibliothek di Vienna, dello Staatliche Museen di Berlino, dell’Istituto di papirologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, della Biblioteca Medicea Laurenziana e dell’Istituto di papirologia “G. Vitelli” dell’Università degli Studi di Firenze, e degli altri possessori di raccolte papirologiche.
Al gruppo dei periodici, contraddistinti da “Off. Pap. Per.”, appartengono importanti riviste contenenti notiziari e rassegne a carattere bibliografico, come «Aegyptus», edita dall’Università Cattolica di Milano dal 1920, e «Archiv für Papyrusforschung und verwandte Gebiete», pubblicato dal 1901. Non manca naturalmente il bollettino del Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi - «Cronache ercolanesi» - fondato nel 1969 con periodicità annuale. In esso gli interventi sui testi si affiancano agli studi di archeologia ercolanese. Di grande interesse il primo supplemento a «CErc.» 13/1983 - Libri scritture scribi a Ercolano - con il quale Guglielmo Cavallo soddisfa l’esigenza già avvertita nel secolo scorso di uno studio su basi scientifiche della paleografia greca nei papiri ercolanesi.
Completa la raccolta la serie di miscellanee segnata “Off. Pap. Misc.”
Presso la sezione è a disposizione degli utenti il catalogo a schede della raccolta ed è possibile effettuare la ricerca on-line in SBN. Le schede figurano, naturalmente, anche nel catalogo generale della Biblioteca.


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