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María Zambrano, Note di un metodo, a cura di Stefania Tarantino, Napoli, Filema, 2003

Per la prima volta pubblicato in Italia, Note di un metodo appartiene agli scritti dell’ultimo periodo della vita della pensatrice spagnola, che ruotano intorno al problema della ragione poetica. Sono “note” proprio perché si allude al carattere frammentario, musicale del pensiero piuttosto che a quello logico-razionale. Un metodo da intendersi come ciò che apre il cammino all’esperienza umana e non semplicemente come ciò che struttura un ordine, una “forma mentis”. Una conoscenza che per María Zambrano deve avere le sue radici nella viva esperienza ma, allo stesso tempo, deve sapersi innalzare a quelle sfere in cui i desideri e i sogni fanno da materia alla nostra vita. In questo saggio troviamo, oltre a una critica dell’utilizzo del metodo propriamente occidentale, una critica alla riduzione del soggetto a mera coscienza e la rivalutazione della memoria come quella facoltà umana capace di sostenere l’andare e venire del pensiero nella sua discesa fin negli inferi dell’anima umana per recuperare la libertà perduta.

María Zambrano nata a Vélez Málaga nel 1904 è stata una delle allieve del filosofo spagnolo Ortega y Gasset all’Università di Madrid. Pensatrice singolare e appassionata, divenne sin da subito impegnata sostenitrice della nascente repubblica spagnola. Costretta all’esilio per 45 anni, si fermò in Italia dal 1954 al 1964. Nel 1988, ormai ritornata a Madrid, le fu conferito il Premio Cervantes. Morirà a Madrid nel 1991. Tra le sue opere tradotte in italiano, ricordiamo: I beati (Feltrinelli, 1992); La tomba di Antigone (La Tartaruga, 1995); Verso un sapere dell’anima (Cortina, 1996); La confessione come genere letterario (Bruno Mondadori, 1997); All’ombra del dio sconosciuto (Pratiche Editrice, 1997); Seneca (Bruno Mondadori, 1998); Filosofia e poesia (Pendragon, 1998); L’agonia dell’Europa (Marsilio, 1999); Delirio e Destino (Cortina, 2000); Persona e democrazia (Bruno Mondadori, 2000); Dell’ aurora (Marietti, 2000).

(dalla seconda e terza di copertina)

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L’esperienza è il primo nome della vita, è ciò che ci mette immediatamente in contatto con la realtà e con ciò che vi è di più abissale in essa: la sua fluidità. Come allora poter determinare l’esperienza? Come arrivare all’a priori dell’esperienza senza perdere la sua fluidità? «L’esperienza precede ogni metodo. Si potrebbe dire che l’esperienza è <a priori> ed il metodo è <a posteriori>. Ma ciò vale soltanto come un’indicazione, giacche la vera esperienza non può darsi senza l’intervento di una sorta di metodo. Il metodo si dà fin dal principio in una determinata esperienza, che proprio in virtù di ciò arriva ad acquistare corpo e forma, figura». Il metodo raffigura l’a priori dell’esperienza vivente nella misura in cui esso individua un modo di orientarsi nella vastità, imprevedibile e inesauribile, dell’esperienza umana. È un tentativo di oggettivazione dell’esperienza nell’intreccio musicale di vita e pensiero, la ricerca di un’unità nell’azione concreta perché l’unità dell’esperienza è un’unità che nasce dalla situazione che la vita chiede di trasformare. La vita per la Zambrano, non può essere vissuta senza un’idea, ma questa idea deve scaturire da una ispirazione concreta, da qualcosa che lega insieme esperienza di vita ed esperienza di pensiero. […] Dal naufragio si apre la possibilità del cammino e, ciò che la pensatrice andalusa ci invita a percorrere, introduce alla comprensione del metodo, non in quanto puro mezzo di conoscenza, ma come la possibilità stessa del darsi dell’esperienza. Il metodo è “incipit vitae novae” perché è un cammino indispensabile da percorrere, un luogo di visibilità attraverso il quale l’essere umano partendo dalla sua opacità va incontro a ciò che gli appare trasparente; è un criterio, a norma direttiva anteriore alla filosofia, che si nutre di quel sapere dell’esperienza che nonostante la frammentarietà, la parzialità, riesce a raggiungere nell’azione, nella trasformazione continua, un sua unità e armonia. Questa unità, in cui siamo immersi, rappresenta l’ordine o l’orbita che sarà la mappa principale attraverso cui orientarsi nel sentire e nel logos originario. […] In questa prospettiva il pensiero, figlio della memoria, è azione, esperienza vissuta, perché è quella possibilità sempre aperta, che l’essere umano ha, di avventurarsi e di perdersi per cercare qualcosa di cui è ignaro. […] In Note di un metodo il pensiero è rintracciato nella discontinuità propria della conoscenza e della vita, nella sua musicalità, nel suo andare e venire più che nella costruzione concettuale e logica, è identificato con quella totalità che l’essere umano porta impresse dentro di sé come tesori inesauribili e che rappresentano il germe attraverso il quale la molteplicità della vita si manifesta in unità. (da: La discontinuità musicale del pensiero di Stefania Tarantino, pp. 11-5)

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