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Il cuore sacro della lingua, a cura di Chiara Zamboni, Padova, Il Poligrafico, 2006

La lingua materna è un parlare affettivo, carnale, appreso nell'infanzia, che ci accompagna nei  momenti più veri della nostra esistenza.
Imparando a parlare e a nominare il mondo, incontriamo nella lingua l'invisibile, che ha trovato espressione nelle favole, nella magia, in alcuni aspetti della religione e in pratiche di vita orientata. La desacralizzazione, condizione tipicamente contemporanea, è in un certo senso la negazione della trama invisibile che accompagna la nostra vita dall'infanzia.
L'idea-guida di questo libro prende spunto dall'esigenza di ritrovare quella prossimità con la lingua materna che ci allaccia ad esperienze simboliche del sacro. Scopriamo in essa la fonte di ciò che tocca intimamente e carnalmente ogni individuo e mette in movimento la vita, riaprendo il rapporto con noi stessi e con gli altri.

Chiara Zamboni insegna Filosofia del linguaggio all'Università di Verona e collabora con la comunità di filosofia femminile Diotima. Tra le sue ultime pubblicazioni: La filosofia donna (Verona 1997), Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio (Napoli 200l ). Ha inoltre curato María Zambrano, In fedeltà alla parola vivente (Firenze 2002). Attualmente lavora intorno al tema della presenza, dell'esserci nella sua forma intensa e vivente, indagando la sua incidenza nel nostro parlare e scrivere quotidiano.

(dalla quarta di copertina)

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In Cuore sacro di Ozpetek la giovane donna che è sulle tracce di quali fossero la vita, i desideri, i sentimenti della madre, morta da anni, entra nella stanza che lei abitava negli ultimi tempi. Una stanza chiusa nella quale le imposte non sono state aperte da parecchio. Sul muro vicino al grande letto una scrittura fatta di segni fini e ordinati, incomprensibili: il linguaggio di sua madre scritto sulla carta da parati, lì presente e indecifrabile come antichi geroglifici.
La donna non riesce a capirlo, ma l'averlo trovato le permette di comprendere che la vita della madre portava con sé un segreto e l'averlo sfiorato la provoca a un agire a lei stessa nuovo, imprevedibile rispetto alla sua vita di prima. […] È il contatto con la lingua segreta della madre a mettere la giovane donna in rapporto con se stessa e con l'ascolto di qualcosa di vivo e modificatore, che non si impone, ma che ha risonanze infinite in lei: a questo diamo il nome di "sacro".
Lingua materna è parlare affettivo, carnale, imparato nell'infanzia, che ci accompagna nei momenti più veri della nostra esistenza. La sua verità non è immediatamente a disposizione. Per questo ne siamo alla ricerca: è proprio di questo nostro tempo il fatto che la verità non è manifesta, e che la lingua materna è vicina a noi e anche nascosta. Ma questo ci porta a fare un gioco più grande, più ricco, nel quale sono possibili più scommesse.
Siamo a contatto, per via dell'immigrazione, con donne di tante lingue diverse, africane, asiatiche, europee, sudamericane, e con i loro uomini. Negli autobus, nei treni e anche nelle nostre case di frequente sono queste le lingue che ascoltiamo. Il fatto è che ogni lingua straniera è anche, nel suo nucleo affettivo, una lingua materna per chi la parla. E proprio se prestiamo attenzione a questo, allora risulta impreciso il termine multiculturalismo, con il quale si vorrebbe descrivere la nostra convivenza con una molteplicità di lingue. Perché nel cuore intimo e carnale di una lingua è custodito il sacro, ed esso ha come suo stile quello di legare intimamente agli altri, non di essere qualcosa da allineare su un unico scaffale vicino ad esperienze culturali diverse. […] Nell'infanzia, quando abbiamo imparato a parlare e a nominare il mondo, abbiamo incominciato ad accennare all'invisibile, che ha trovato espressione nelle favole, nella magia, in alcuni aspetti della religione e in pratiche di vita orientate. La desacralizzazione, che è una condizione contemporanea, appare come la negazione dell'infanzia. Il mondo dei simboli religiosi non è più tessuto della nostra esistenza: siamo piuttosto consapevoli delle tante religioni storiche in conflitto tra loro, e al medesimo tempo è cresciuta una aspirazione generica e sentimentale all'assoluto.
La ricerca del mistero della lingua della madre ci fa più vicini al sacro. Possiamo trovare in essa infatti la fonte di ciò che ci tocca intimamente e carnalmente e che mette in movimento la nostra vita, riaprendo il rapporto con noi stessi e con gli altri.
In più, sfiorare la verità della lingua della madre, nascosta e così vicina, ci apre al senso del sacro di  chi, prossimo a noi, parla altre lingue. E questo ci lega più di un'accoglienza semplicemente tollerante e interculturale. Si crea un contatto più intimo, meno comunicabile eppure manifestabile.
L'idea portante di questo saggio è dunque che, sfiorando il mistero della lingua materna, incontriamo l'invisibile, il sacro. In questo senso abbiamo cercato di aprire un altro piano rispetto ai conflitti che il nostro tempo ci vorrebbe imporre come inaggirabili: si pensi al difficile rapporto tra mondo laico e mondo religioso o a quello tra l'insegnamento delle chiese e la libera spiritualità. Infatti, il sacro che troviamo custodito nel parlare comune e affettivo non ha a che fare immediatamente con l'insegnamento delle chiese né con i limiti cercati dalla laicità, ma non è neppure una generica aspirazione all'assoluto. (da: Introduzione, pp.9-11)

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Dall’indice: Introduzione; C'era, non c'era..., di Vita Cosentino, Federica Marchesini; La lingua invisibile di Elisabeth Jankowski; Passando di bocca in bocca parole materne di Dinha Rodrigues; Il linguaggio oracolare di  María Zambrano di Maria-Milagros Rivera Garretas; Il gioco pesante di tutta la vita di Ida Travi; Desiderare la lingua d'altri di Eva Maria Thüne; Il fluire della lingua materna nell'esperienza religiosa di Chiara Zamboni.

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