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Mariejeanne Allasinaz, Donne e forze armate: principi di diritto comparato, [Quaderni di donne e ricerca], Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne, Università di Torino, Torino, Trauben, 2003

Il binomio donne e Forze armate sembra una contraddizione insanabile: l'esercito, le armi, la forza sono tra le caratteristiche più tipicamente maschili attraverso le quali l'uomo si contrappone e si è sempre contrapposto alla donna.
Nel dibattito che si è svolto in Italia per il suffragio femminile uno degli argomenti forti contro il voto alle donne era proprio questo: come affermava nel 1881 l'on. Pierantoni, «L'apparecchio fisiologico della donna non permette che essa faccia il soldato, che compia altri uffici sociali; quindi non è ingiustizia se la donna sia esclusa dalla capacità di essere legislatore».
Analogamente, nel Manifesto della Lega Nazionale delle Donne contro il Suffragio, redatto a  Londra nel 1908, si faceva notare che ciò che concerne le attività pubbliche rientra necessariamente nella sfera maschile, proprio perché lo Stato esprime la sua forza attraverso la marina e l'esercito.
Il fatto che le donne non facessero parte dell'esercito comportava dunque l'esclusione delle donne dalla vita pubblica, dallo Stato, dal voto e in generale dalla cittadinanza.
Occorreva dunque imbracciare le armi per acquistare la cittadinanza a pieno titolo?
Non fu questa la strada seguita dal movimento femminista, che sin dall'inizio legò alla pace la battaglia per il suffragio. Riprendendo le tesi di molte teoriche femministe settecentesche (da Wollstonecraft in poi), esso infatti indicava nella capacità delle donne di dare e curare la vita, piuttosto che di toglierla, un possibile (e superiore) fondamento della cittadinanza.
Con la Grande Guerra, tuttavia, a questa tradizione di pacifismo, che si era ancora espressa nel Woman’s Peace Party, creato a Washington all'inizio del 1915, e nella Women’s International League for Peace and Freedom, formatasi a seguito del Congresso internazionale che si svolse all' Aia nello stesso anno, si sostituì un patriottismo femminile o nazionalfemminismo, che, come osserva Françoise Thébaud (La Grande Guerra: età della donna o trionfo della differenza sessuale?, in Georges Duby, Michelle Perrot, Storia delle donne in Occidente. Il Novecento,  Laterza, Bari, 1992, pp.25-90), condusse molte donne a prodigarsi come infermiere o in opere caritative in favore dei soldati; le richieste di arruolamento da parte di alcune donne rimasero invece per lo più inascoltate.
Durante la guerra le donne si trovarono anche a svolgere professioni e mestieri che in passato si erano sempre reputati esclusivamente maschili, in sostituzione degli uomini partiti per la guerra. Fu soprattutto questa circostanza a favorire la conquista di alcuni diritti al termine del conflitto: in Italia fu approvata la legge 17 luglio 1919 n. 1176 sulla capacità giuridica delle donne, che abrogava l'istituto dell'autorizzazione maritale e ammetteva le donne ad esercitare tutte le professioni e tutti gli impieghi pubblici, con la sola esclusione dei poteri giurisdizionali, dei diritti o potestà politiche e delle attività militari.
Il superamento di queste esclusioni è storia più recente.
La Costituzione italiana non si pronuncia espressamente sulla possibilità o meno che le donne intraprendano la carriera militare e questo ha condotto il legislatore e la giurisprudenza a difendere la specificità dell'ordinamento militare, anche considerando i problemi pratici ed organizzativi che avrebbe comportato l'ingresso delle donne nelle caserme. La legge sull'ammissione delle donne al servizio militare è perciò intervenuta in Italia solo nel 1999, molto più tardi rispetto ad altri ordinamenti.
Nel nostro Paese l'ingresso delle donne nelle Forze armate ha coinciso con una radicale trasformazione delle attività dell'esercito, che sono ora rivolte prevalentemente al mantenimento della pace, ad attività di sostegno nei confronti di popolazioni in difficoltà e non più alla guerra in senso proprio, e ciò in conformità a quanto afferma espressamente l'art. 11 della nostra carta costituzionale: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
In Italia, come in molti ordinamenti, l’attività militare è inoltre diventata una professione, non più un obbligo imposto solo agli uomini. (da: Prefazione di Elisabetta Palici di Suni, pp.5-6)
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Dall’indice: La legislazione sulle donne soldato in alcuni paesiGli Stati Uniti; L’esercito e la famiglia; Le molestie sessuali; Israele; L’Italia; Il lungo iter legislativo e l’apporto dei gruppi femministi; La legge n. 380 del 20 ottobre 1999 «Delega al governo per l’istituzione del servizio militare volontario femminile»; Le donne in guerra e nelle missioni di pace – Le convenzioni internazionali; Le sentenze della Corte di Giustizia delle comunità europee: il caso Tanja Kreil; L’esclusione dal combattimento; La donna soldato e le operazioni multilaterali di supporto della pace; Bibliografia.

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Collegamenti

apri la pagina collegata http://www.ecologiasociale.org/pg/dum_guerra_afghanistan2.html
apri la pagina collegata http://www.donneconoscenzastorica.it/testi/percorso_900/indicericercadonguer.htm
apri la pagina collegata http://www.istoreto.it/didattica/d&c_donneguerra_0304.htm


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