Torna alla homepage della Biblioteca Nazionale di Napoli  
Apri la pagina dei contatti
Attività e progetti | Gruppo di ricerca Soggettività Femminili | Teca 2/2003
> Home
> News
> Guida rapida
> I servizi
> Le sezioni
> Fondi e raccolte
> Attività e progetti
  > Mostre e pubblicazioni
> Ufficio Progetti Europei
> Ufficio Libro Antico
> Gruppo Soggettività Femminili
> Sezione sulla Diversità
> Progetti in corso
> Percorsi bibliografici
> Biblioteca digitale
> Risorse nel web

 


Teca delle nuove accessioni 2/2003

torna a teca 2/2003

Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, introduzione di Renzo Zorzi, Torino, Edizioni di Comunità, 1999

Nell'opera di Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, occupa una posizione centrale, insieme riflessione teorica ed esperienza morale della sua piena maturità. In questo libro, ormai considerato un classico, confluiscono i motivi fondamentali della sua ricerca e appare in tutto il suo significato l'idea alla quale è rimasta fedele tutta la vita, secondo cui la sola ragion d'essere della politica è la libertà, e suo compito è produrre situazioni che ne allarghino gli spazi, cioè produrre istituzioni e corpi politici «che garantiscano lo spazio entro cui la libertà può manifestarsi»; la politica fallisce invece allorquando per scelta o costrizione sia portata a deviare da questa strada. Di qui il giudizio sul sostanziale fallimento delle due rivoluzioni francese e russa e sulla sostanziale riuscita della rivoluzione americana, la prima delle rivoluzioni moderne. Il senso profondo del libro, come del resto di tutta l'opera della Arendt, dolorosamente segnata dall'esperienza del totalitarismo, sta nella coraggiosa rivendicazione dell'autonomia della politica (e, in polemica con Marx, del primato dei pensiero), nel suo martellante richiamo alla responsabilizzazione individuale e alla socializzazione, ma istituzionalizzata, del potere, spinta fin quasi a toccare i confini di un antistatalismo libertario, nella perseveranza a individuare e combattere il mito ricorrente della violenza, la cui inevitabile conclusione è stata ogni volta il terrore, la deviazione e la fine della rivoluzione, la disfatta in primo luogo degli ideali in nome dei quali era stata iniziata.

Hannah Arendt (1906 - 1975) fu allieva di Heidegger, Bultmann e Jaspers. Emigrata a Parigi all’avvento del nazismo, nel 1941 si trasferì negli Stati Uniti; docente all’università di Chicago, a Berkeley, Princeton e, dal 1967 alla New School for Social Research di New York, è autrice di numerose opere, tra le quali ricordiamo, in traduzione italiana presso le Edizioni di Comunità, Le origini del totalitarismo, (1999) e Che cos’è la politica? (1997).

(seconda e terza di copertina)

In una situazione internazionale che contrappone la minaccia di totale distruzione attraverso la guerra alla speranza di emancipazione di tutta l’umanità attraverso la rivoluzione - portando un popolo dopo l’altro in rapida successione “ad assumere fra le potenze della terra la posizione separata ed uguale a cui hanno diritto per le Leggi della Natura e del Dio della Natura” - non resta altra causa se non la più antica di tutte, quella in realtà che fin dal principio della nostra storia ha determinato l’esistenza stessa della vita politica, la causa della libertà contro la tirannide …. (da: Guerra e rivoluzione, p. 3).

Collegamenti
http://www.women.it/arendt/


torna a inizio pagina