Adriana
Cavarero, A più voci. Filosofia dell’espressione
vocale, Milano, Feltrinelli, 2003
La
voce non inganna. Le sue inflessioni, il suo timbro, perfino
le sue pause e i suoi silenzi ci parlano del suo possessore
e ci permettono di riconoscerlo e conoscerne le intenzioni,
cioè di riconoscere il senso di un discorso là
dove la parola scritta deve arrestarsi al solo significato.
A partire da qui è possibile rileggere la storia della
voce come rovescio dei grandi temi che hanno attraversato la
filosofia fin dalle sue origini.
Figure femminili - dalle sirene alla ninfa Eco e alle cantanti
d'opera - disegnano una vicenda della vocalità che si
contrappone al sistema logocentrico della parola, a un sistema
cioè che astrae dalle differenze individuali per poter
“teorizzare”, per poter “vedere", come indica la radice
greca del verbo. La voce, a differenza della vista, è
sempre relazionale. Ciò che si scopre, dunque, tenendo
in mano il filo d'Arianna della vocalità è una
comunità in cui la parola sgorga da una pluralità
di voci, uniche e relazionali, che "risuonano" l'una
con l'altra. Si delinea così la possibilità di
ricostruire un immaginario che nulla ha a che vedere con quello
classico della filosofia. In grado, inoltre, di avere ricadute
anche di natura poetica in virtù delle prospettive nuove
che una simile posizione contiene.
Adriana
Cavarero insegna Filosofia politica all'Università di
Verona ed è Visiting Professor alla New York University.
Figura di spicco del pensiero femminista nonché autorevole
esponente degli studi arendtiani, ha pubblicato per Feltrinelli
Corpo in figure (1995) e Tu che mi guardi, tu che
mi racconti (1997).
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