Luisa
Muraro, Il Dio delle donne, Milano, Mondadori, 2003
“C'era
una volta una creatura mendicante che cercava Dio”, comincia
la breve autobiografia di Margherita Porete nello Specchio
delle anime semplici, e continua: lo cercò nelle
cose create, senza trovarlo, finché non ebbe l'idea di
cercarlo nell'intimità della mente, e “fu così
che scrisse questo libro: voleva che il suo prossimo trovasse
Dio in lei, attraverso le sue parole”.
Siamo verso la fine del Medioevo, in un tempo di passaggio,
all'alba dell'Europa moderna. Fu allora che prese avvio un pensiero
che arriva fino ai nostri giorni per vie solo in parte conosciute,
pensiero di donne che avevano (e hanno) con Dio un rapporto
di straordinaria confidenza e di suprema libertà. Si
chiama mistica femminile ma meglio sarebbe chiamarla teologia
in lingua materna.
Questo nome ci restituisce la novità di una scrittura
in cui l'esperienza si fa pensiero e scienza mediante la lingua
che impariamo a parlare per prima, nell'ascolto della voce materna,
e Dio sì dice nella prossimità con il nostro essere
corpo, nella fragilità degli inizi.
L'impresa di quelle audaci pensatrici venne presto isolata nell'eccezionalità.
Eppure, come fa vedere Il Dio delle donne, nel loro
linguaggio potevano essere formulate le risposte alle domande
più comuni e gravi della condizione umana. Lo fa vedere
portando la teologia in lingua materna tra le macerie della
modernità e i rumori della postmodernità. L'effetto
è sorprendente, ma sensato, paragonabile al silenzio
che accompagna i cambiamenti profondi.
Luisa
Muraro è nata con la guerra, nel 1940, sesta di undici
tra fratelli e sorelle, l'autrice di questo libro ha imparato
molto presto a comportarsi da persona seria. Ma, passati ormai
i sessant'anni di vita, preferisce non fingere di esserlo. La
sua vita di studiosa è stata laboriosa quanto caotica,
i suoi rapporti con il mondo accademico non sono mai stati buoni.
Dagli iniziali interessì per la filosofia della scienza,
passò alla storia (La sígnora del gioco. Episodi
della caccia alle streghe, Feltrinelli, 1976 e
Giambattista Della Porta mago e scienziato, Feltrinelli
1978). Intanto era scoppiato il Sessantotto, lei ci rimise la
borsa di studio e andò ad insegnare nella scuola dell'obbligo,
collaborando con Elvio Fachinelli nel progetto Erba voglio.
Tornata all'università, si diede alla linguistica (Maglia
o uncinetto, Feltrinelli 1981, Manifestolibri 1998), ma
ben presto l'incontro con il femminismo fece di lei la Luisa
Muraro più conosciuta, una filosofa della differenza
sessuale (L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti
1991). Studiando la misteriosa figura di Guglielma Boema (Guglielma
e Maifreda. Storia di un'eresia fernminista, La Tartaruga
1985, 2003) incontrò la figura di Margherita Porete e
scopri l'esistenza di una teologia in lingua materna. Da allora
studia e insegna i testi della mistica femminile (Lingua
materna, scienza divina, D'Auria 1995, Le amiche di
Dio, D'Auria 2001). La sua bibliografia (raccolta e ordinata
da Franca Cleis e Clara Jourdan per conto della Libreria delle
donne di Milano) si estende per centinaia di titoli. Più
dell'argomento, per lei ha sempre contato l'ordine simbolico
che è e che fa la scrittura. Più che nella sua
opera, ha sempre confidato nel contributo di chi la legge.
(seconda
e terza di copertina)
Un
giorno si aprì la porta di una vacanza senza fine. Capitò
quando, leggendo il libro di Margherita Porete Lo specchio delle
anime semplici e altri testi di quella che chiamano mistica
femminile, cominciai a udire le parole di una conversazione,
non semplicemente nuova ma inaudita, tra due che, per brevità,
chiameremo una donna e Dio.
Una donna c'era di sicuro, Dio non so, ma di sicuro lei non
era sola, c'era un altro o un'altra la cui voce non arrivava
fino a me ma che sentivo lo stesso perché faceva un'interruzione
nelle parole di lei, o meglio una cavità che trasformava
la lettura, la rendeva simile al gesto di chi beve lentamente
da una tazza. (Luisa Muraro)
(quarta
di copertina).
Questo
libro tratta di Dio, del Dio delle donne, al presente e in determinati
momenti della storia europea marcati dal segno della libertà
femminile. Dio con la maiuscola perché la lettera grande
serve ad indicare la disparità…
.... Dio è la parola che apre al rapporto di scambio:
che apre l’autrice, la lettrice, il pensiero, la filosofia,
la teologia, perché fa saltare compartimenti stagno del
positivismo scientifico che tanto perseguitano la libertà
femminile. Cioè Dio non è un tema, non è
il tema del libro, ma è la parola che, come nelle fiabe,
capita che apre il muro visibile dell’invisibile. Apre alla
libertà assoluta, all’immanenza di altro, diventando
Lui (o Lei) contigente…
...."La chiamo esperienza femminile – senza considerarla
esclusiva delle donne, il proprio della differenza femminile
essendo di non escludere l’altro – perché dischiude un
senso dell’essere che è sempre anche in poter essere
altro, senza separazione, così com’è nella relazione
di una donna con sua madre e con il suo poter essere madre”…Quando
una o uno è o, meglio, si fa, passaggio in altro, le
guerre sono inconcepibili…(Recensione di Maria Milagros Rivera
Garretas al testo Il Dio delle donne, da: Leggere
donna, n.105, lug./ago. 2003, p.18.).
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Namaste
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