Giuliana
Sgrena, Il fronte Iraq. Diario di una guerra permanente,
Roma, manifestolibri, 2004
In
presa diretta la storia, le tragedie quotidiane, i protagonisti
e le vittime di una guerra infinita. L’occupazione militare,
i conflitti religiosi, le spinte secessioniste nello scacchiere
mediorentale e nella drammatica vita delle popolazioni.
(dalla
quarta di copertina)
La
guerra, dopo il primo maggio, non è più convenzionale,
si è trasformata in guerriglia, e ha fatto la sua comparsa
il terrorismo. Combatteremo il nemico con «azioni non
convenzionali» aveva annunciato, in uno dei suoi ultimi
show davanti a una platea di giornalisti radunati di fronte
all'hotel Palestine, il ministro dell'informazione iracheno
Mohammed Said al Sahaf. Subito il pensiero di noi giornalisti
era corso alle armi chimiche e batteriologiche, ma poi si era
capito che si riferiva ai kamikaze, alle azioni di martirio.
Una forma di lotta che non appartiene alla tradizione irachena
ma che è stata importata con questa guerra.
Prima dell'inizio del conflitto in Iraq non erano arrivati solo
pacifisti, peraltro variegati, ma anche mujahidin (per
combattere il jihad, la guerra santa) e aspiranti al martirio.
Tra i pacifisti che avevano manifestato a Baghdad contro la
guerra il 15 febbraio 2003, in contemporanea con le proteste
che si erano svolte in tutto il mondo, vi erano gli «scudi
umani» destinati alla «protezione» degli impianti
strategici - centrali elettriche, raffinerie, impianti per la
depurazione dell’acqua - anche se poi alcuni di loro ci avevano
ripensato ed erano partiti prima dell'inizio dei bombardamenti.
Dai paesi arabi e musulmani erano arrivati i combattenti che
si erano uniti ai feddayn Saddam, la milizia guidata da Uday,
primogenito del rais. E con loro i candidati al suicidio, che
si distinguevano nelle sfilate, durante le ultime parate prima
della guerra, per la tuta bianca (il sudario), in netto contrasto
con i feddayn, che vestivano rigorosamente di nero. […]
La
situazione sotto occupazione non migliora, anzi è sempre
più drammatica. Il problema prioritario resta quello
della sicurezza: senza sicurezza non può iniziare la
ricostruzione e senza ricostruzione non ci sarà sicurezza.
Una spirale perversa all'interno della quale le truppe di occupazione,
sempre più terrorizzate dalle perdite quotidiane, sono
ossessionate solo dalla propria sicurezza e per difendersi non
guardano in faccia a nessuno, i «danni collaterali»
aumentano in modo esponenziale rispetto alle perdite militari.
Mentre le condizioni di vita sono peggiorate anche rispetto
ai tempi dell'embargo. Soprusi e privazioni alimentano l'ostilità
nei confronti degli occupanti, che si manifesta con la lotta
armata o semplicemente con la resistenza passiva. Le componenti
della resistenza sono diverse, ma difficilmente riconoscibili
mancando di una chiara rappresentanza politica. […]
Tutti
questi temi sono - occupazione, islamizzazione, balcanizzazione
– sono approfonditi nel testo, preceduti da un diario scritto
durante i giorni della guerra, quella dei bombardamenti, fino
all’entrata delle truppe americane a Baghdad. (da: Introduzione,
pp. 9-13).
Dall’indice:
Introduzione, Diario: sotto il cielo di Baghdad; Guerra
infinita; Truppe d’appalto; Italie; Resistenza e terrorismo;
Il potere dei Mullah; Balcanizzazione; Sovranità limitata.
Giuliana
Sgrena, Tra le macerie dell’Iraq, in “Il manifesto”,
29 giugno 2003, p. 2
[…]
A Um Qasr, come a Bassora, i bambini non ti chiedono soldi,
caramelle o penne biro, ma acqua. La mancanza di oro bianco
è il paradosso di un paese che galleggia sull’oro nero
e di una popolazione che vive nell’unico posto utilizzabile
per l’esportazione della preziosa risorsa. […] Ora l’acqua viene
importata con le autobotti del vicino Kuwait, grazie soprattutto
all’Unicef, ma non viene distribuita gratuitamente come previsto,
i trasportatori la vendono […]
Dall'inferno di Saddam a quello americano. A sostenerlo è
Sabiha, certamente non sospettabile di nostalgia per l’ex rais.
Vive con il marito, 73 anni ciascuno, in un piccolo appartamento
di al-Baya, un quartiere periferico di Baghdad, quasi sempre
senza elettricità, il telefono invece funziona, ma serve
a poco visto che gli altri non funzionano. Che vita è
questa? Anche il resto della sua vita non è stato certamente
felice. Arrestata a diciott'anni con l'accusa di essere comunista,
comunista lo è diventata davvero in carcere. Prima di
sposare Hadi che comunista lo era prima di lei. Ha passato tutta
la gioventù dentro e fuori dal carcere, anche quando
aveva i figli piccoli, che poi sarebbero diventati anche loro
militanti del Partito comunista iracheno. Un figlio l'ha perso
a causa delle torture. Due figlie e un figlio hanno lavorato
al giornale del partito, Tareq al-Shaab, che ora ha
ripreso le pubblicazioni, prima di fuggire all’estero. Soprattutto
per rintracciare il figlio Intishall, che era scappato, Sabiha
veniva continuamente arrestata, a volte per pochi giorni a volte
solo minacciata. Chiunque si avvicinasse alla loro casa veniva
arrestato.
Originari di Hilla (la famosa Babilonia), Hadi, insegnante,
per punizione era stato trasferito per otto anni in un villaggio
vicino a Kirkuk Suo fratello e suo nipote invece sono stati
uccisi. Ora, naturalmente è in pensione, ha ricevuto
40 dollari dagli americani, ma non bastano, tanto più
che le razioni di cibo non arrivano.
Come si può vivere così? Sabiha mi mostra dalla
finestra gli americani superarmati che presidiano una postazione
proprio di fronte alla sua casa. La sua vivacità improvvisamente
si spegne: «È questa la liberazione?» […]
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