Amélie
Nothomb, Dizionario dei nomi propri, traduzione di
Monica Capuani, Roma, Voland, 2003
Se
i nomi influenzano il destino delle persone, la piccola Plectrude
non potrà che avere una esistenza straordinaria. Nata
in prigione da un’uxoricida e, dopo il suicidio della madre,
allevata da una zia che la preferisce spudoratamente alle sue
stesse figlie, sembra destinata ad un futuro prodigioso. Misteriosa
ed enigmatica come una dea, bella come una principessa delle
fiabe, sicura di sé, la sua vita inizia a passo di danza.
Armata di una volontà di ferro, diventa una promettente
ballerina fin quando un rovinoso incidente le impedisce per
sempre di danzare. Ma la vita ha in serbo altre sorprese per
Plectrude, Una carriera di cantante di successo. Un principe
azzurro che le fa scoprire l’amore. E un omicidio letterario.
Una favola moderna, ricca di sfumature noir, in cui
si intrecciano i temi da sempre cari alla scrittrice: il cibo,
la notte, l’amicizia. […] Finale assolutamente inatteso, in
puro stile Nothomb.
Belga,
nata a Kobe (Giappone) nel 1967 da genitori diplomatici, Amélie
Nothomb è ormai scrittrice di culto non solo in Francia,
dove ha esordito a ventitre anni con il romanzo Igiene dell’assassino.
Pubblica un libro l’anno, ogni volta un caso letterario; molti
diventano anche pièces teatrali o film.
(dalla
seconda e quarta di copertina)
L’insonnia
di Lucette durava ormai da otto ore. Nel suo ventre, il bimbo
aveva il singhiozzo dal giorno avanti. Ogni quattro o cinque
secondi un sussulto gigantesco scuoteva il corpo di quella fanciulla
di diciannove anni, che un anno prima aveva deciso di diventare
sposa e madre. La fiaba era cominciata come un sogno: Fabien
era bello e diceva di essere pronto a tutto per lei, che lo
aveva preso in parola. L’idea di giocare al matrimonio aveva
divertito quel ragazzo giovane come lei, e la famiglia, perplessa
e commossa, aveva assistito allo spettacolo di due bambini che
indossavano gli abiti nuziali. Poco tempo dopo, trionfante,
Lucette aveva dato l’annuncio della sua gravidanza […] -Se è
un maschietto, si chiamerà Tanguy. Se è femmina,
Joëlle. Tra sé e sé, Lucette odiava quei
nomi […] - Sarà un ballerino o una ballerina – aveva
decretato con la testa piena di sogni […] Ti proteggerò
io, non ti lascerò mai diventare un Tanguy calciatore
o una Joëlle rompicoglioni, sarai libero di ballare dove
vorrai, all’Opéra di Parigi o per tutte le strade del
mondo. (pp. 7-10)
Voler
chiamare un figlio Tanguy o Joëlle vuol dire offrirgli
un mondo mediocre, un orizzonte già ristretto. Io invece
voglio che il mio bambino abbia a disposizione l’infinito. Voglio
che mio figlio non senta alcun limite, voglio che il suo nome
gli suggerisca un destino fuori dal comune.” (p. 17)
In tre mesi, perse cinque chili. Se ne rallegrò […] Quando
una pesava trentacinque chili, la vita era diversa: l’ossessione
consisteva nel vincere le prove fisiche della giornata, nel
distribuire la propria energia in modo che fosse sufficiente
per le otto ore di esercizi, nell’affrontare con coraggio le
tentazioni del pasto, nel nascondere fieramente l’esaurimento
delle forze […] La danza era la sola trascendenza. Giustificava
in pieno quella esistenza arida. Giocare con la propria salute
non aveva alcuna importanza a patto che si potesse conoscere
quell’incredibile sensazione di librarsi in volo. […] Quello
che doveva succedere successe. Un mattino di novembre Plectrude,
che si era appena alzata mordendo un fazzoletto per non urlare
dal dolore, crollò: sentì uno scricchiolio nelle
ossa. Non riusciva più a muoversi. Chiamò aiuto.
Venne portata in ospedale. Un dottore che non l’aveva ancora
vista esaminò le sue radiografie. – Quanti anni ha questa
donna? – Quindici. – Cosa? Ha l’ossatura di una donna di sessant’anni
in menopausa! L’interrogarono. Lei vuotò il sacco: da
due anni non assumeva più alcun derivato del latte, nell’età
in cui il corpo ne ha un bisogno pazzesco. . Lei è anoressica?
– No, non lo sono! – insorse lei in buona fede. – Crede che
sia normale pesare trenta chili alla sua età? – trentadue
chili! – protestò. – Pensa che cambi qualcosa? Lei ricorse
agli argomenti di Clémence: - Sono una ballerina. Nel
mio mestiere è meglio non avere rotondità. – Non
sapevo che reclutassero le ballerine nei campi di concentramento.
(pp. 102-107)
Collegamenti
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