Gabriella
Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste.
Napoli e il fronte meridionale 1940-44, Torino, Bollati
Boringhieri, 2005
La
riflessione sui bombardamenti e sulle guerre è sempre
stata, soprattutto in Italia, vittima di interpretazioni influenzate
da rigide posizioni politiche. Il volume rifiuta lo sterile
dibattito ideologico tra revisionismo e ortodossia per ragionare
liberamente sulla guerra e sulla terribile escalation
delle armi distruttive cui il secolo passato ha assistito, sulle
ragioni e le dinamiche della violenza. La guerra vista attraverso
gli occhi degli strateghi bellici è una serie di postazioni,
di linee, di armi, di tonnellaggi di bombe, di schieramenti
su una mappa: una visione dall’alto che ne nasconde la drammatica
concretezza e la trasforma in una rappresentazione accettabile.
L’autrice si propone invece di entrare in una dimensione reale
dei conflitti armati attraverso la vita della popolazione, dando
un volto agli individui nascosti dietro i numeri della morte
seriale, cercando una «via di accesso» al vissuto
della guerra totale. Per fare ciò si cala sul territorio
confrontando la documentazione militare con la testimonianza,
le memorie individuali, familiari, di gruppo, di comunità.
L’area
geografica messa a fuoco nel testo si può senza dubbio
definire esemplare per studiare le dinamiche della violenza
nella guerra totale in Europa occidentale. Napoli è stata
la città più bombardata d’Italia; il territorio
campano e del basso Lazio subì i raid aerei legati allo
sbarco di Salerno del 9 settembre 1943 e all’avanzata degli
alleati fino alla lunga battaglia di Cassino, sulle cui linee
le donne avrebbero sofferto anche gli stupri di massa del Corpo
di spedizione francese nel maggio del 1944. Nello stesso tempo
le popolazioni ebbero a subire le violenze della Wehrmacht,
particolarmente efferate perché i soldati tedeschi, che
poco prima avevano combattuto con gli italiani in Sicilia per
impedire lo sbarco angloamericano, attuavano propositi di ritorsione
nei confronti di un ex alleato considerato traditore. Tutto
il territorio fu attraversato dalle linnee di fortificazione
germaniche e dai combattimenti fra opposte armate, in quanto
«zona di operazione», fu sottoposto alle leggi di
guerra tedesche. Di fronte a tale situazione estrema il testo
prova a rispondere a domande difficili […] Più narrazioni
si intessono o si contrappongono, dando vita a un racconto polifonico
di centinaia di voci attraverso cui si delinea il percorso complesso
e contraddittorio della storia. Emerge il senso che la gente
ha dato alle cose, le sue spiegazioni; emerge il dolore rimosso.
Ma le storie fanno anche affiorare le pratiche di opposizione
e di difesa messe in atto dalle persone comuni, mostrando un
mondo forte e coraggioso, in contrasto con quella immagine di
zona grigia e amorfa con cui è stato ingiustamente dipinto.
Gabriella
Gribaudi insegna Storia Contemporanea presso la Facoltà
di Sociologia dell’Università degli Studi di Napoli Federico
II. Ha pubblicato Mediatori. Antropologia del potere democristiano
nel Mezzogiorno (Rosenberg & Sellier, 1980); A
Eboli. Il mondo meridionale in cent’anni di trasformazioni
(Marsilio, 1990); Donne, uomini, famiglie. Napoli nel Novecento
(L’ancora del Mediterraneo, 1999). Ha curato il volume Terra
bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale (L’ancora
del Mediterraneo, 2003) Fa parte della direzione di «Quaderni
Storici».
(dalla
seconda e terza di copertina)
Dall’indice:
Introduzione; Parte prima – Una città in
prima linea. Napoli 1940-44 – 1. La prima fase della
guerra: i bombardamenti della RAF. Napoli, giugno 1940 – novembre
1942; 2. La guerra vista dall’alto; 3. I bombardamenti
a tappeto; 4. Una resistenza popolare. Napoli, settembre
1943. Parte seconda – Nella terra di nessuno. La popolazione
civile tra le linee del fronte: dal Volturno alla linea Gustav
1943 - 44: 5. Violenza da terra e violenza dal cielo.
Lungo il Volturno, settembre 1943; 6. Una città
distrutta e saccheggiata; 7. Fra razzie di uomini e
bombardamenti; 8. Ebrei napoletani nel cuore della
guerra. Tora e Piccilli: un paese virtuoso?; 9. Nove
mesi nella terra di nessuno. Dal Garigliano al golfo di Gaeta,
settembre 1943 – maggio 1944; 10. Gli stupri di massa;
Parte terza – Riflessioni. 11. Il racconto del dolore;
12. Interpretazioni private, discorsi pubblici.
Chi
piangeva, chi cercava il figlio, chi la madre, chi il fratello...
la gente non sapeva dove sarebbe stata condotta, i modi dei
soldati erano spicci e violenti e non facevano ben sperare.
Tutti di corsa, via, con poche cose, quindi sui camion, poi
sui vagoni fino a Reggio Emilia, dove il treno che li portava
sarebbe stato fermato da un bombardamento. Lì i campomelani
sarebbero stati alloggiati in un manicomio adibito a campo profughi.
Avrebbero fatto ritorno al paese soltanto nel giugno 1945. Le
donne rimaste maledicono il momento in cui riuscirono a scappare.
Infatti dopo venne il peggio: tutto un inverno sulle montagne
in capanne di strame o in grotte e alla fine la «liberazione»
attraverso le truppe del Corpo di spedizione francese.
Come emerge con chiarezza dai diari di guerra, i soldati del
Corpo di spedizione francese scesero dal monte Faggeto proprio
dietro Campodimele e per ben due giorni contesero il paese ai
tedeschi che vi si erano arroccati. Molti furono i morti dall’una
e dall’altra parte. Si racconta che centinaia fossero i corpi
dei tedeschi ammassati e inceneriti in un gran e rogo vicino
al cimitero. 162 soldati franco-marocchini furono sepolti nella
frazione Taverna, dove tuttora sono ricordati da un cippo; altri
furono seppelliti alla piana dei Pozzi.
La popolazione era disseminata per le montagne, nelle poche
case sparse, nelle capanne di strame, nelle grotte. Si trovò
sul percorso delle truppe e ne fu travolta. […] Il racconto
più struggente è quello di una donna che allora
era bambina.
«Io tenevo undici anni, me pianno sotto i miei genitori.
Mamma teneva un altro bambino piccolo, che ci reva lu latte
e aveva n’altra sorella che teneva sotto i vestiti per non farla
prendere. Allora me pianno a me la prima volta... Mamma e papà
i caccianne, a me ficinnu rimane dentro... e allora papà
piagneva appresso a me... A papà i abbiarono na bottiglia
appresso, n’atu poco o accedevano. Poi si misero il fucile vicino
a me, le botte, le mazzate... mi menannu, m’annu fatto tutto,
m’annu oltraggiato, mi hanno fatto del male, tutto... Dopo scesa
dalla casetta, tutta piangente, non potevo neanche camminà,
pe’ comme m’avevano rovinata... ecco che vennero gnauti, mi
pianno, lì c’era il grano alto, era notte, mi portanno
in mezzo al grano, erano cinque, sei, mi trascinarono come una
cosa. ..me pianno, fecero i fatti loro chistauti e me lassanno
mezu a gnu grano. Mio padre piagnenne
ieva cercanne la figlia: ando stai, ando stai!? e io, piagnenne,
chiamavo: papà, mamma, tutti quanti … Era di notte, era
buio, non ci si vreva affatto... Non potevo nemmeno camminare,
per come mi avevano rovinata... cosi papà venne a prendermi
in mezzo al campo di grano, piagnenne... eh... Sono tutti ricordi
che... (da: pp. 516-517, 523).
Collegamenti
www.feltrinelli.it/
http://www.bollatiboringhieri.it/
http://www.donneinnero.it
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